Spesso chi ha talento, sin da piccolo rischia di sentirsi dire: "Il ragazzo è bravo, ma non si applica". Questo non è sicuramente il caso di Gabriele Mainetti, che di talento ne ha da vendere, ha la preparazione (universitaria e non) e ci ha messo tutto l'impegno e la passione possibile nel realizzare il suo primo film. Questo giovane regista ha dovuto combattere per ottenere finanziamenti e credito, ma alla fine ce l'ha fatta, Lo chiamavano Jeeg Robot, distribuito da Luky Red e prodotto da Goon Films, è stato un successo di critica alla Festa del Cinema di Roma. Comprato addirittura oltre oceano, soddisfazione non da poco, è uscito nelle sale lo scorso 25 Febbraio ed è già acclamato dal pubblico.
Mainetti ci aveva già deliziato con due cortometraggi, Basette (con Valerio Mastandrea e Marco Giallini), e Tiger Boy,entrambi consigliatissimi sia per la bellezza stilistica e la profondità dei temi trattati, che per avere una visione più precisa dei temi cari al regista. Gabriele Mainetti ama la periferia romana, i cartoni animati giapponesi, le riprese di Roma dall'alto con il protagonista di spalle. Come tutti noi ragazzini nati e cresciuti negli anni 80, con Bim Bum Bam,( e a Roma e provincia con Super3 e la posta di Sonia), questo giovane regista fa parte di quella generazione criticata e accusata di non riuscire a crescere. I robottoni, i film un po' trash di Tomas Milian, e la Roma di borgata sono fonte d'ispirazione e chi fa arte deve rimanere bambino, deve mantenere intatta la capacità di meravigliarsi, la fantasia, e Gabriele lo fa.
Lo chiamavano Jeeg Robot unisce il dramma del degrado e delle difficoltà di chi deve giocare quella partita che è la vita con la stecca storta fin dall'inizio e l'ironia che solo noi italiani sappiamo tirare fuori anche nei momenti più difficili. Si piange e si ride, ci si appassiona ai protagonisti senza però provare nessun senso di pena, ma un desiderio di riscatto e redenzione.
Cast superlativo.
Claudio Santamaria come sempre bravissimo, veste egregiamente i panni del protagonista, Enzo Ceccotti, il ladruncolo di Tor Bellamonaca che acquista i super poteri dopo un bagno nel Tevere. Intimamente tenero e goffo, si ricopre della corazza dura del ragazzo arrabbiato e ferito dalla vita e dagli eventi. Un antieroe, uno che non è amico di nessuno, che odia la gente e che si redime grazie alla figura femminile di Alessia (Ilenia Pastorelli). Figura, quella femminile, tanto cara a Mainetti, che anche in questa opera ci dimostra l'importanza che una donna e la sua influenza può avere nella vita di un uomo. Come nel manga, dove Miwa Uzuki lancia i componenti a Hiroshi Shiba che può diventare Jeeg, nel film è Alessia, che forse grazie alla sua malattia mentale e alla sfera immaginaria che si è creata, riesce a porgere i mezzi necessari a Enzo per vedere il mondo e la gente con occhi nuovi e a cambiare, diventando finalmente il super eroe di cui Roma ha bisogno. Santamaria, bello, bravo e prestante anche con 20 kili in più, coerenti con la dieta malsana del protagonista, goloso di budino alla vaniglia.
Ilenia Pastorelli è una grande scoperta, un'attrice che non avrei mai tenuto in considerazione e che mi ha sorpreso e commosso. Una che ha fatto il Grande Fratello a quanto pare può essere anche una brava attrice. Interpretare una persona disturbata e dissociata come il personaggio di Alessia non è semplice. Sono due le scene, forse le più toccanti e significative di tutto il film, che le permettono di esprimere al meglio la sua bravura. Una sorpresa.
Luca Marinelli, interpreta Fabio lo Zingaro, il cattivo, quello vero, una specie di maschera dei nostri tempi, un personaggio che vuole apparire sfondare uscire a tutti i costi dall'anonimato. Nei tempi dei like e delle visualizzazioni, lo Zingaro, incarna la ricerca spasmodica e spietata della notorietà. La ricerca di un riscatto sociale fatta con i mezzi sbagliati. Spettacolare la scena in cui si improvvisa, con trucco pesante e tacchi, intrattenitore e showman in Un'emozione da poco di Anna Oxa. È stato paragonato al Joker di Batman, quello di Heath Ledger, per me Marinelli interpreta un altro tipo di "fijo de 'na super mignotta", e lo fa esclusivamente a modo suo. Un attore ormai consacrato.
I colori e l'uso della cromatica nei personaggi è caratteristico, Enzo è il colore nero, Lo Zingaro è il rosso, Alessia è un arcobaleno di colori, metafora bellissima dell'anima dei personaggi ed in particolare della mente dissociata della ragazza.
Grande la scelta di una colonna sonora tutta italiana e anni 80, che si rifà sempre al background dell'infanzia del regista, con l'aggiunta nei titoli di coda della delicata cover della sigla originale di Jeeg Robot d'acciaio arrangiata e interpretata da Claudio Santamaria.
Dal punto di vista prettamente tecnico, forse il montaggio in alcuni punti può lasciare un po' insoddisfatti, ma il budget è stato quello che è stato e la storia è talmente piacevole e coinvolgente che alla fine sono solo minuzie senza valore.
È stato chiesto a Mainetti se ci sarà un seguito, se lo Zingaro tornerà, se ci sarà un nuovo cattivo; Gabriele non si è pronunciato, ma ha sorriso, e questo ci fa ben sperare, perché se lui lo vuole ha tutte le carte in regola e la grinta necessaria per portare ancora Enzo Ceccotti sullo schermo.
Sarà che alle grandi produzioni super sponsorizzate e cariche di soldi ho sempre preferito il crowdfounding e il cinema indipendente (vedi Kevin Smith e Zach Braff), ma Lo chiamavano Jeeg Robot è aria fresca, è primavera, è riscoperta, è musica nuova, è coraggio. In un'Italia che stenta e arranca, Gabriele il coraggio ce l'ha.
Il mio augurio?
DAJE!!!
Francesca Romana Piccioni