Resa famosa al grande pubblico dal film di animazione della Disney (1991), nonché in tempi più recenti dal live action con Emma Watson e Dan Stevens (2017), la fiaba della Bella e la Bestia ha in realtà radici ben più lontane. La trama trae origine dall'antica favola di Amore e Psiche, ma anche da una storia realmente accaduta…
In pieno '500, alla corte di Francia, il re Enrico II e Caterina de' Medici ricevettero un dono di nozze a dir poco singolare. All'epoca veniva definito un "selvaggio", ma non era altro che un bambino di dieci anni, discendente dei re aborigeni delle Canarie, affetto da ipertricosi. Allora non ancora studiata, questa malattia provoca una crescita abnorme di peli sul corpo, perfino in viso, una caratteristica questa che era considerata appunto tipica dei "selvaggi". La presenza di questo essere straordinario costituiva un vanto per i sovrani francesi, che competevano con le altre corti europee nel collezionare creature esotiche e singolari.
Pedro Gonzales, questo il nome del ragazzo, ebbe comunque fortuna nella sfortuna, dato che re Enrico decise di educarlo come un gentiluomo. Presto divenne un cortigiano colto, raffinato e sensibile, al quale Caterina de' Medici decise di dare in sposa la più bella delle sue dame, Catherine Raffelin. A dire il vero, la scelta della regina fu motivata più che altro dalla curiosità di sapere come sarebbero stati i figli di questa coppia tanto improbabile, ma anche dal desiderio di generare un'invidiabile stirpe di selvaggi al servizio della corona di Francia.
Si racconta che, quando le fu presentato il suo futuro sposo, la giovane dama svenne. Eppure, per quanto l'apparenza rendesse Pedro difficile da amare, con il tempo pare che Catherine imparò ad apprezzare la cultura e la dolcezza del marito, e dal matrimonio forzato nacque un'unione felice. Per la gioia della regina Caterina, la coppia ebbe ben sei figli, dei quali quattro affetti da ipertricosi, che furono ritratti in molti dipinti e così sfoggiati davanti all'Europa intera.
Già a metà del '500 fu pubblicata una fiaba dell'italiano Giovanni Francesco Straparola, Il re porco, che narrava di un principe all'apparenza animalesco e delle giovani fanciulle costrette a sposarlo. La storia fu ripresa nel secolo successivo da Charles Perrault e Giambattista Basile, i quali adottarono un'antica versione popolare francese e dipinsero la bestia come un serpente. Queste opere, con ogni probabilità ispirate all'allora nota vicenda di Pedro e Catherine, trovano le proprie origini letterarie già nell'antica Grecia, ovvero nelle Metamorfosi di Apuleio e specialmente nella splendida favola di Amore e Psiche. Qui troviamo già una fanciulla di una bellezza tale che "non si poteva descrivere, e non esistevano parole per lodarla adeguatamente"; un palazzo meraviglioso e deserto, nel quale la bella viene servita e intrattenuta da portentosi spiriti; e un amante misterioso, forse mostruoso, in un'atmosfera di fondo minacciosa.
A dispetto delle svariate riletture d'autore, tra cui quelle dei fratelli Grimm e di Calvino, furono in realtà le varianti settecentesche delle autrici francesi Gabrielle-Suzanne de Villeneuve e soprattutto di Madame de Beaumont ad avere maggior fortuna nel tempo. Quest'ultima, insegnante e scrittrice di libri educativi, abbreviò e riformulò la narrazione di Villeneuve, eliminandone gli aspetti scabrosi e violenti e mettendone in evidenza l'aspetto edificante. Fu questa la versione scelta per il film di animazione della Disney e così resa famosa in tutto il mondo.
Del resto, per quanto ne siano state date interpretazioni psicoanalitiche e metafisiche, La Bella e la Bestia resta innanzitutto una fiaba e al tempo stesso una favola. È capace di farci sognare grazie alle meraviglie del palazzo incantato e al romanticismo del lieto fine; ma ci ricorda anche una lezione essenziale e sempre attuale, per quanto a prima vista banale: che l'apparenza inganna, che la differenza d'aspetto non dev'essere un ostacolo alla solidarietà umana, che il diverso non va discriminato; perché quel che conta davvero è la bellezza interiore.
Diana Burgio