La prima volta che lessi una sua opera non ne fui entusiasta, avevo poco più di venti anni e poche letture. Credevo fosse solo un mio difetto quello di non comprendere subito Dostoevskij e invece ogni lettore trovava le mie stesse difficoltà. Non si riesce immediatamente a scorgere le vertiginose profondità umane e le altezze trascendenti a cui ci costringe, nella letteratura nessuno aveva osato percorre quei sentieri.
Ad esempio il romanzo francese dell'Ottocento di cui è contemporaneo è molto diverso, non ebbe nemmeno continuatori e non ebbe discepoli, né in terra Russa né altrove. La metafisica e il piglio teologico che rendono i suoi romanzi palpitanti, a dispetto della densità concettosa del pensiero, inducono ad una riflessione intorno alle realtà supreme. Nessuno prima di lui e nessuno dopo riuscirà, attraverso il linguaggio letterario, a trasmetterci l'inesausta tensione verso l'Assoluto.
La sua è una letteratura escatologica, tesa ad interpretare gli stadi ultimi dell'uomo: le sofferenze, i dolori, la ricerca di qualcosa che possa trascendere una umanità annichilita dalla negatività del vivere e la realtà della morte. Morte che tenta di superare dando vita a personaggi grandiosi, colmi di ardimento, ultraterreni. Sono i protagonisti dell'Inferno, sono demoni o angeli caduti o uomini del sottosuolo, più vicini alla bestia che all'angelo.
Le figure angeliche che appaiono nei suoi romanzi non sono messaggeri di Dio ma presenze destinate ad essere violate per suscitare il rimorso, tremole fiammelle che rendono visibili le tenebre.
Dostoevskij compone opere polifoniche in cui la tragedia e la colpa assumono la forma del romanzo. Nella sesquipedale opera I fratelli Karamazov il tema del rapporto con Dio raggiunge il culmine e si esplica magnificamente nell'episodio del Grande Inquisitore, che rappresenta il nucleo di quel romanzo. Inviterei a leggere e rileggere quella pagina del Grande Inquisitore, recitata da Ivan dinanzi all'accorata stupefazione di Alesa. Vi sembrerà scritta oggi, scritta per noi e da noi, vi farà rabbrividire nella vostra nudità, solitudine e finitudine.
Gli interrogativi che emergono sono antichi, riecheggiano dagli inizi della storia umana e della realtà terrena dell'uomo. L'immagine più affascinante di questo artista filosofo è quella del possente eroe della cultura, che incarna lo spirito russo sui deserti del mondo moderno. Un grande critico letterario, George Steiner, ebbe a dire che: "Se anche non avesse scritto nient'altro, Dostoevskij sarebbe stato annoverato tra i principali artefici del pensiero moderno solo per le Memorie del sottosuolo".
L'universo concentrazionario – il mondo dei campi della morte – conferma l'intuizione sulla bestialità degli uomini, sulla loro inclinazione – sia come individui sia come orde – a sopprimere nel loro animo la favilla dell'umanità. Il narratore del sottosuolo definisce la sua specie "una creatura che cammina su due gambe ed è sprovvista di gratitudine".
Anche la dura requisitoria nei confronti dell'uomo conosce l'apice nel Grande Inquisitore, dove il nonagenario cardinale a capo dell'Inquisizione spagnola, contesta al Cristo risorto il fallimento della sua missione. Redimere gli uomini dal peccato non è servito. Cristo, la lacrima di Dio caduta sulla terra, non è riuscito nell'intento di purificare la sua creatura. L'arringa conclusiva dell'inquisitore è terribile e ad un tempo affascinante: "Tu hai giudicato troppo altamente gli uomini, non hai capito che essi sono degli schiavi, sia pure con istinti di ribellione. Ribelli ma schiavi nel profondo della loro natura. Guardati intorno e osservali: l'uomo è più debole e più vile di quanto tu non ritenessi. È mai possibile che egli adempia ai tuoi voleri? E allora tu perché hai agito così? Tu hai predicato il valore della libertà e gli hai concesso il libero arbitrio. Pensavi forse che fosse un grandissimo dono e invece è stato un grandissimo tormento. Gli hai promesso il pane celeste se avesse avuto fede in te, ma non gli hai dato il pane terreno. Essi non volevano che il pane terreno e noi, tradendo il tuo insegnamento, glielo abbiamo dato. Ed essi sono stati felici di deporre ai nostri piedi la libertà di cui non sapevano che farsi. E si sono genuflessi davanti a noi. Tu ci hai dato il potere di sciogliere e di legare fino alla fine dei tempi. Noi lo abbiamo usato e ci siamo alleati con lo spirito della terra, quello che nel deserto ti aveva tentato. Abbiamo fatto questo in tuo nome. Ora è troppo tardi per smentirci. Noi diremo loro che ogni peccato sarà assolto purché compiuto con il nostro permesso e chi non farà così sarà commutato con il fuoco purificatore. Domani ti farò bruciare giacché, se mai c'è stato uno che ha meritato il rogo, questo sei Tu. Domani arderai nel rogo. Dixi."
Questo è il vibrante finale dell'arringa.
Altra grandissima opera è Delitto e castigo, il romanzo della colpa e della filosofia del tutto è permesso impersonata da Raskòl'nikov. È la storia di un delitto premeditato e atroce perpetrato dal protagonista ai danni di una vecchia usuraia. Il giovane studente vede nella sua padrona di casa una persecutrice instancabile, le deve dei soldi e viene sovente rampognato per questo. Lentamente, non potendo onorare i suoi debiti, cresce dentro di sé un odio insopprimibile. Proietta sulla figura della donna tutto il male del mondo, arriva a giudicarla un essere abietto e inutile e per questo deve morire.
È il romanzo che celebra la fine della dignità umana e il trionfo dell'odio terreno. I demoni rappresentano l'ideale continuazione di Delitto e castigo, di cui approfondisce in senso sociale e politico l'indagine etico-religiosa sul tema della libertà. Il nucleo centrale è il valore della personalità umana, Raskòl'nikov la subordina alla sete di vendetta, ne I demoni si afferma che la dignità e la sacralità della vita umana non si possono e non si devono immolare ad alcun ideale. La loro salvaguardia deve rappresentare il fine ultimo dell'agire umano.
L'intera opera di Dostoevskij ha influenzato movimenti culturali quali l'esistenzialismo e il surrealismo, e vi si identifica il vertice della letteratura occidentale. La sua vita non fu priva di eventi tragici e povertà. Uno su tutti è l'arresto per aver trasgredito le dure leggi della Russia zarista, fu processato e condannato a morte. La pena fu poi commutata in quattro anni di lavori forzati e ad altri cinque di esilio da scontare in Siberia. Afflitto nei suoi ultimi anni da un enfisema polmonare, morì a sessanta anni nel gennaio del 1881.
Giuseppe Cetorelli