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Truffe finanziarie: schema Ponzi, Pump and dump e altri raggiri

La recente truffa dei diamanti, mietendo numerose vittime tra risparmiatori più o meno noti, ha riportato alla ribalta il tema delle frodi sugli investimenti finanziari, un problema tutt'altro che nuovo.

In quest'ultimo caso due società intermediarie, sfruttando anche la reputazione di cinque note banche italiane, sono riuscite a vendere diamanti a un prezzo del 50-70% superiore al valore reale. Le pietre preziose erano spacciate per beni rifugio in tempi di crisi, capaci di garantire un rendimento superiore a un titolo di Stato. Il profitto totale della frode? Allo stato attuale delle indagini, oltre 700 milioni di euro.

Ma come detto, non è il primo caso di truffa finanziaria nella storia, né il più originale. Innanzitutto va ricordato Charles Ponzi, italiano immigrato negli Stati Uniti all'inizio del Novecento e diventato famoso per aver magistralmente messo in pratica il tipo di frode che ha poi preso il suo nome. Lo schema Ponzi è una sorta di attività piramidale: un'impresa inesistente (o quasi) diviene una società di grande successo distribuendo come rendimenti le quote sempre crescenti pagate dai nuovi entusiasti investitori. È un castello di carte che può crescere a dismisura, ma è pur sempre destinato a crollare. Nel caso di Ponzi, l'attività quasi inesistente era acquistare Buoni di risposta internazionale (IRC) in Spagna o in Italia, dove costavano meno, e realizzare profitti cambiandoli negli Stati Uniti. Inizialmente con questo trucco Ponzi riusciva a guadagnare anche il 400%, così cominciò a promettere profitti astronomici. Pian piano la fama dell'impresa si diffuse, nel corso dei mesi furono coinvolte circa 40.000 persone e, partendo dalla modica cifra di due dollari, Ponzi arrivò a raccoglierne oltre 15 milioni.

A radere al suolo il castello di carte provvedette la stampa. Dalle indagini di vari giornalisti emerse infatti la scomoda verità che per realizzare i guadagni promessi sarebbero stati necessari 160.000.000 di Buoni, mentre Ponzi ne aveva acquistati solo 27.000. Nel clima di sospetto molti investitori decisero di ritirarsi e lo schema collassò. Nel frattempo l'italiano venne anche arrestato, con ben 86 capi d'accusa per frode.

Alla fine della storia Charles Ponzi fu condannato a soli 5 anni di detenzione per frode postale. Diverso fu invece l'epilogo per Bernie Madoff, al quale più di recente sono stati inflitti 150 anni di carcere per una truffa finanziaria basata sullo stesso schema. Self-made man, passato dal ruolo di bagnino a celebre esperto di finanza, Madoff era riuscito a raccogliere ben 65 miliardi di dollari con una società essenzialmente fittizia. Ma infine nel 2008, in un clima di crisi economica, molti investitori vendettero le proprie quote, i rendimenti da pagare superarono l'ammontare dei nuovi depositi e la società divenne insolvente.

Una tecnica forse più sofisticata, anche perché non di per sé illegale, è il cosiddetto «Pump and dump». Ecco come funziona: basta scegliere una società di scarso valore sul mercato, comprare grandi quantità di azioni e pubblicizzarle a investitori sprovveduti per far lievitare i prezzi (pump) e, quando le quotazioni sono all'apice, vendere tutto nel più breve tempo possibile (dump) per ottenere il massimo del ricavo. L'autore dello schema può così guadagnare cifre enormi; gli altri sventurati investitori si ritrovano invece a subire le conseguenze del crollo delle quotazioni. Un caso su tutti? La storia di Cynk, il presunto social network americano con zero dollari di fatturato, nessuna proprietà, e un solo impiegato tuttofare. Questa impresa solo di nome, con un sito web tutt'altro che allettante, è riuscita a raggiungere per un breve periodo di tempo un valore di mercato di ben 6 miliardi di dollari. Prima che la bolla scoppiasse, ovviamente.

È uno schema questo che, nell'era delle criptovalute e degli investimenti tramite le  piattaforme online, è sempre più facile da mettere in atto. Chiunque può investire, in tutta semplicità, anche senza conoscenze né consapevolezza dei rischi. Secondo un'analisi del Wall Street Journal, tramite il pump and dump sarebbero stati generati 825 milioni di dollari di trading in criptovalute in soli sei mesi e centinaia di milioni di perdite per gli investitori beffati. E appunto, almeno che non si mettano in circolazione false informazioni, tutto questo non è illegale. Nel caso di Cynk il reato invece c'era e nel 2017 Gregg Mulholland, considerato a capo del gruppo che aveva orchestrato la truffa, è stato condannato a 12 anni di prigione. A grandi linee è la stessa vicenda di Jordan Belfort, più nota al grande pubblico grazie al film con Leonardo Di Caprio «The Wolf of Wall Street».

Non sempre mirate al profitto personale, però decisamente illegali, sono invece le truffe operate da alcuni famosi «rogue trader». Questi operatori finanziari, spesso impiegati presso importanti banche, effettuano transazioni non autorizzate altamente rischiose, talvolta solo per il brivido della speculazione o il sogno di una fulminea carriera. Il risultato? Massicce perdite da occultare con ogni mezzo possibile. Tra i casi più famosi c'è quello di Nick Leeson, che nel 1995 contribuì al fallimento della storica Barings Bank (fondata nel 1762) vanificando quasi 827 milioni di sterline. A lungo, per nascondere le operazioni andate male, aveva utilizzato un semplice trucco informatico, assegnando tutte le perdite a un account error chiamato 88888. Complice era dunque una carenza del sistema di controllo interno, proprio come nel caso di Jerome Kerviel. Il bilancio di quest'ultimo fu tuttavia peggiore, con ben 4,9 miliardi di euro di ammanco realizzato fino al 2008 a carico della Société Générale.

Se il mondo della finanza tenta di impedire il ripetersi di questi frodi imponendosi regole sempre più stringenti, come osservatori e non esperti possiamo trarre una lezione da tutte queste vicende: ha ragione il vecchio detto «Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio».

Diana Burgio