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20 anni senza Gian Maria Volontè

Un attore immenso che ha segnato un’epoca di lotte sociali e di rinnovamento

Il regista Francesco Rosi definì Gian Maria Volontè uno dei più grandi attori del cinema mondiale. Lo stesso dicevano di lui altri due registi del calibro di Orson Welles e Ingmar Bergman che lo consideravano l'attore "impegnato" per eccellenza del cinema italiano.

Gian Maria Volontè è stato, indubbiamente, uno dei più grandi interpreti della storia della celluloide, riuscendo a fondere impressionanti doti recitative ed un'incredibile presenza scenica.

Troppo spesso quando si pensa ad attori immensi si rivolge la mente a miti stranieri: Robert De Niro ed Al Pacino su tutti, ma Volontè è stato certamente straordinario quanto questi interpreti, forse addirittura superiore per un'intensità unica che sapeva avere e trasmettere.

A vent'anni dalla scomparsa del grande attore, nulla ha potuto mitigare il rimpianto per la sua perdita, perché nel panorama cinematografico vi è un senso di vuoto impossibile da colmare.

Biografia

Nato a Milano il 9 aprile 1933, si diploma nel 1957 all'Accademia d'arte drammatica, e due anni dopo si fa notare per l'interpretazione de "L'idiota" televisivo.

L'esordio cinematografico arriva, invece, nel 1960 con "Sotto dieci bandiere" di Duilio Coletti; quindi ottiene il plauso della critica per le prove fornite in "Un uomo da bruciare"(1962) dei fratelli Taviani e ne "Il terrorista" (1963) di G. De Bosio.

L'ampia popolarità arriva grazie agli spaghetti-western di Sergio Leone "Per un pugno di dollari" (1964) e "Per qualche dollaro in più" (1965), dove riveste magnificamente due ruoli di banditi crudeli e spietati: Ramón Rojo e El Indio. A seguire, arrivano i film con Mario Monicelli ("L'armata Brancaleone", 1966), Carlo Lizzani ("Svegliati e uccidi", 1966; "Banditi a Milano", 1968), Damiano Damiani ("Quien sabe?", 1967), e Sergio Sollima ("Faccia a faccia", 1967).

Di questo periodo, è uno degli incontri più importanti della sua carriera, quello con Elio Petri.

Dopo l'adattamento di "A ciascuno il suo" (1967), proprio con Petri gira alcuni autentici capolavori nella cosiddetta trilogia della nevrosi: "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" (1970), "La classe operaia va in paradiso"(1971) ed il discusso "Todo modo" (1976) - pellicole in cui Gian Maria Volontè emerge a volto più rappresentativo di un cinema a forte connotazione politica e civile.

"Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto", in particolare, ottiene nel 1970 un grandissimo consenso da parte del pubblico e l'anno seguente si aggiudica l'Oscar come miglior film straniero.

Dotato di straordinarie capacità mimetiche, Volontè riesce a mettere a frutto con esiti impressionanti le proprie qualità in ulteriori pellicole dove viene calato nei panni di personaggi realmente esistiti;  "Sacco e Vanzetti" (1971) di Giuliano Montaldo, "Il caso Mattei" (1972) e "Lucky Luciano" (1973) di Francesco Rosi e "Il caso Moro" (1986) di Giuseppe Ferrara, dove incarna in maniera straordinaria lo statista democristiano - satireggiato nel già citato "Todo modo" - con straziata aderenza e toccante partecipazione.

Nelle sue non frequenti apparizioni in pellicole straniere, è altrettanto convincente (citiamo "L'attentato", girato da Yves Boisset nel 1972); mentre l'esito migliore delle sue ultime stagioni è quello di "Porte aperte" (1990), bell'adattamento da Sciascia di Gianni Amelio, in cui Volontè interpreta un giudice tenace e dal risvolto umano.

Il grande attore muore improvvisamente sul set de "Lo sguardo di Ulisse" di Thodoros Anghelopulos, colpito da infarto, il 6 novembre 1994; esattamente 20 anni fa, lasciando orfano tutto il pubblico italiano.

La memoria

Nei ricordi di chi lo ha conosciuto traspare ancora oggi l'immagine di un uomo forte, rude e rigoroso. Un uomo tenace, sempre alla ricerca della perfezione, calato profondamente nel proprio mestiere e nella vita; che ha sempre lottato contro gli stereotipi e le ingiustizie sociali.

Molto più che un semplice attore, Gian Maria Volontè è stato un personaggio raro ed univoco, per la capacità di andare oltre la propria professione, prendere posizione, vivere le passioni e le complessità in prima persona. Icona di un'epoca portatrice di grandi ideali e di rinnovamento è stato testimone di una intera stagione del nostro paese; una stagione attraversata da lotte devastanti e cambiamenti epocali.

«Essere attore – diceva – è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta così di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste della società».

Parlare, oggi, dell'opera di Gian Maria Volonté e delle sue molteplici sfaccettature, delle scelte professionali e delle proprie battaglie politiche, del suo modo personalissimo di intendere il rapporto tra l'arte e la vita, e di confrontarsi con il potere quale che sia, significa anche rivedere, da una posizione privilegiata, circa trent'anni di storia italiana.

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