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“Chi salva una vita, salva il mondo intero” Talmud

È dall’uomo stesso che discendono il bene e il male, ed è arbitrio dell’uomo scegliere quale sentiero intraprendere…

È una storia del Talmud, che mio nonno mi raccontava quando ero bambino. In qualsiasi momento della storia, segnatamente nei periodi bui, ci sono sempre Trentasei Giusti al mondo. Sono nati Giusti, non possono ammettere l’ingiustizia. È per amor loro che Dio non distrugge il mondo. Non sono troppo diverse da noi, queste persone. Forse hanno più coraggio, sono più consapevoli di attraversare la galleria oscura della sofferenza e, avvertono il dovere di prodigarsi a rischio della propria vita. La vita individuale assume una coloritura meno accesa dinanzi alla salvezza di un popolo, alla libertà di uno stuolo di esistenze. Alleviare i patimenti di coloro i quali la storia colloca dalla parte delle vittime. Sanno riconoscere le sofferenze degli altri e se le prendono sulle spalle.

In psicologia vi è un termine specifico per questo: empatia. “Sentire dentro” è il significato più diffuso del vocabolo: la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, nella fattispecie di un intero popolo. Le atrocità dinanzi alle quali ci ha collocato il Novecento sono tali da indurci a riflettere sulla natura dell’umanità. L’uomo può essere tutto e il suo contrario: sommamente benevolo, sommamente malevolo (Cicerone, Il sommo bene e il sommo male).

L’Olocausto ha tracciato una linea divisoria, da una parte gli accecati, dall’altra gli illuminati.

I primi sono quelli che all’ambizione, alla sete di dominio e potere e sopraffazione, hanno sacrificato milioni di innocenti. Ideologie barbare sono quelle che subordinano la vita agli egoismi e megalomanie di un’oligarchia invasata, protesa ad una politica di potenza. Sono uomini infelici poiché portatori di passioni tristi, quelle che Baruch Spinoza definiva tali: odio, cinismo, invidia (Ethica).

I secondi invece si chiamano Oscar SchindlerGiorgio Perlasca Gino Bartali. Uomini che hanno trovato e sentito dentro, come asserivo poc’anzi, l’imperativo di aiutare coloro i quali si trovarono dalla parte dei sommersi. Questi signori erano consci di un’idea che un poeta ha sintetizzato in un verso: “Ognuno nel suo cuore è un immortale” (Sandro Penna). E in quella temperie era necessario sentirsi immortali per riuscire a salvare migliaia di vite, sottraendole agli artigli dello sterminio, nato in seno al grande Leviatano assolutistico/totalitario. Nel periodo in cui la ragione si addormentò, laddove il crepuscolo allontana ciò che prima era vicino e spegne lentamente la visione delle cose, agirono i Giusti.

Una sorta di storytelling della parte buona dell’umanità. Ad esempio può succedere che nella narrazione cominci a parlare di un commerciante padovano, Giorgio Perlasca, che nell’inverno del 1944 a Budapest, riuscì a salvare dallo sterminio migliaia di ebrei, spacciandosi per console spagnolo. Era stato un fascista entusiasta e aveva combattuto in Spagna come volontario per Franco. L’8 settembre 1943 lo trovò lontano da casa, tallonato dalle SS. Avrebbe potuto mettersi in salvo e invece si mise a repentaglio. Ed ecco che la menzogna si tramuta in valore: Perlasca produce documenti posticci, organizza e difende otto “case rifugio”, trova cibo, strappa ragazzi dai “treni della morte” di Adolf Eichmann, inganna nazisti tedeschi e ungheresi. Un organizzatore geniale e un magnifico impostore.

Un Giusto che ha deciso di reagire e agire in favore della libertà e della dignità umana. Poi, dopo la guerra, il ritorno alla vita “civile” e un silenzio durato quasi cinquanta anni, fino alla sua scoperta, merito di un gruppo di donne, ebree ungheresi, ragazzine all’epoca del conflitto, che gli devono la vita. È stato onorato come eroe e uomo giusto in Ungheria, Israele, Stati Uniti e Spagna. A Gerusalemme vi è una lapide gremita di sassi, si tratta di un’antica usanza ebraica. Un epitaffio recita Giusto tra i giusti, scolpito in ebraico.

Accanto, in tedesco: l’indimenticabile salvatore di 1200 ebrei perseguitati. Lì riposa Herr Schindler, l’imprenditore Oskar Schindler. Prima che lo scrittore australiano Thomas Kenaelly ne tratteggiasse la biografia pochi lo conoscevano, quasi nessuno sapeva quello che aveva compiuto. A Cracovia, nel momento più buio della storia, Schindler redasse la sua lista: i nomi dei salvati. Noi tutti abbiamo negli occhi l’immagine della bambina con il cappotto rosso di Spielberg, nel film che racconta proprio quella vicenda; la melodia bellissima e struggente che accompagna le scene si è tramutata nella voce del giorno della memoria. Ne salvò circa 1200, assumendoli come lavoratori necessari allo sforzo bellico del Reich. Poi c’è la bici di un campione, uno sportivo nostrano, che diventa veicolo di salvezza.

Gino Bartali non è stato solo un formidabile ciclista ma anche un salvatore nell’orrore. Con la sua bici affrontò centinaia di chilometri e posti di blocco trasportando documenti falsi, quelle nuove identità servivano a sottrarre centinaia di persone al loro destino di morte. Centinaia di chilometri percorsi nel pericolo, per centinaia di vite salvate. La sua azione in seno alla rete di salvataggio gli valse la nomina a Giusto tra le nazioni per la sua attività a favore degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale.“…Certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Questa la firma in calce alla sua impresa ardimentosa. Nella furia nichilistica della storia ciò che accomunò questi signori, così dissimili tra loro, è l’animo soccorritore proteso al bene. La mitezza di fondo del temperamento e la sensibilità hanno consentito loro di contrapporsi all’arroganza, alla protervia e alla prepotenza.

Ribadendo un concetto già espresso dal filosofo Blaise Pascal: È dall’uomo stesso che discendono il bene e il male, ed è arbitrio dell’uomo scegliere quale sentiero intraprendere”. 

Giuseppe Cetorelli