Verrà pubblicato il prossimo 20 marzo il nuovo album dei The Decemberists con il titolo What a Terrible World, What a Beautiful World. In questi giorni, intanto, è stato lanciato il trailer del primo singolo Make you better, già acquistabile in versione digitale, che lascia intravedere un'atmosfera romanticamente malinconica con un intro limpido di chitarra elettrica, drumming moderato, sound essenziale ma pastoso e crescente.
Dopo otto anni di assenza, l'unica data italiana sarà quella del primo marzo 2015, quando la band statunitense si esibirà a Milano con l'ultimo lavoro dopo The King is Dead del 2011. A dir poco originale è stata la presentazione di Colin Meloy, chitarrista e frontman del gruppo, il quale ha suonato e cantato alcuni brani per le strade di New York davanti ad un murales che ritraeva la copertina dell'album e alla folla sorpresa ed incuriosita.
Questo cd nasce dopo quasi quattro anni di pausa, un periodo descritto da Meloy come privo di impegni, pressioni e anche di aspettative durante il quale gli artisti hanno avuto tutto il tempo per maturare un progetto intraprendente e libero, con ritmi di lavoro rilassati generando uno degli album più dinamici ed intensi della band, sia al livello musicale che emozionale.
Dal 3 novembre è disponibile in preorder su thedecemberists.com.
Dopo il successo di King is Dead, balzato all'apice della classifica Billboard e candidato al Grammys per la Best Rock Song con Down by the Water, i cinque ragazzi di Portland non si sono mai realmente fermati, pubblicando prima l'EP Long Live The King, poi l'album live We All Raise Our Voices to the Air, e ancora contribuendo alla colonna sonora di Hunger Games. La lavorazione di What a Terrible World, What a Beautiful World è stata particolare perché ha visto un'evoluzione in itinere, senza un progetto predefinito o un'idea di base: «non avevamo un obiettivo o una direzione precisa da seguire, volevamo semplicemente vedere cosa ne sarebbe uscito», ha affermato il leader del gruppo, «lo spirito di quei giorni in studio ha però influenzato tutto quello che è venuto fuori in seguito».
Gradualmente sono state aggiunte nuove canzoni e l'album ha preso pian piano forma, lasciando il giusto spazio ad ogni pezzo, non tralasciando nessun brano, ponendo grande attenzione alla composizione sonora, intensa e profonda. Questo originale metodo di produzione, ha dato vita ad un disegno musicale variopinto, ad una certa impostazione positiva perché spontanea e scevra di sovrastrutture e confini: «c'è qualcosa di profondamente liberatorio nel creare musica senza assolutamente nessun progetto, ma semplicemente lasciando che le canzoni si formino autonomamente», sostiene ancora Meloy.
Una simile premessa promette un risultato quantomeno particolare da parte di una band folck rock, con echi indie, vena creativa e impostazione narrativa teatrale. Atmosfera intrinsecamente vintage, approccio ironico e romanticamente sornione, hanno accompagnato le tappe di un'evoluzione del gruppo americano, dalla ricerca più elaborata degli esordi ad una tensione alla semplicità degli ultimi anni.
Naturalezza e spontaneità, scomposizione di ogni artificio che permetta la visione nuda e scarna della musica quella più lineare ma anche più complessa da realizzare proprio perché decurtata di orpelli e condimenti. Sarà questo forse il risultato dell'ultimo album, ossia l'espressione di una artisticità quasi primordiale, cercata fin dalla progettazione proprio attraverso il rifiuto di ogni progetto, una costruzione immediata che rispecchi la pulsione più intima della musica, creatura e creatrice della più completa concezione di libertà.
Sabrina Pellegrini