Nel 1954 nasceva, dalle tanti intuizioni musicali e non di Leo Fender, la signora delle chitarre elettriche, la mitica Stratocaster. Una chitarra che fece moda, che diede più colore alla musica, aggiungendo all'arcobaleno delle note indelebili armonie. Basta un plettro per pizzicare o delle dita per accordare senso e voglia e far vibrare l'aria. Un'aria che non ha cielo senza il respiro dell'anima.
Fender non aveva il talento di chi suona, ma possedeva la passione di chi ama la musica. Le influenze che lo portarono alla realizzazione di questa chitarra cult, strumento di design e simbolo del secolo scorso, furono tante. Ma la febbre più alta la ebbe quando si ammalò delle teorie dell'architetto statunitense R. Buckminster Fuller, le cui invenzioni, progetti e realizzazioni ben si riassumono in due suoi celebri pensieri, punti cardini di molti, disorientati e non, del settore:
"Quando affronto un problema non penso mai alla bellezza, penso solo a risolvere il problema. Ma alla fine, se la soluzione non è bella, so che è sbagliata".
"Non si cambiano le cose opponendosi alla realtà, piuttosto bisogna inventare qualcosa che renda obsoleto quello che già esiste".
Le chitarre sono fucili che sparano al silenzio per dichiarare la pace dei sensi col consenso dell'udito. Suoni che graffiano il cuore per limarlo di stupore. Abbracciare una chitarra significa sposare la musica e a nozze con la Stratocaster sono stati e sono in tanti.
Come non ricordare la performance di Jimi Hendrix al festival di Woodstock del 1969, con la sua Stratocaster bianca, in una versione ricca di riflessione dell'inno degli Stati Uniti. Stridenti suoni che riproducevano gli orrori della guerra del Vietnam. E poi le tante esibizioni di Eric Clapton, Frank Zappa, Buddy Holly, Mark Knopfler e Bruce Springsteen, con in mano questo arnese per lavorare al meglio il mondo in ascolto e suonargli la carica.
Ma c'è un tempo in cui l'improvvisazione diventa visione e necessita di appoggiarsi in eterno su un pentagramma, per darsi forma e tratti di una canzone, insieme di scatti e sogni. Segni di un tempo ucciso, per dichiararlo colpevole di aver rubato quelle ore indimenticabili ai secondi appesi sui minuti scadenti del cielo di un'evitata vita.
E sempre in questo anno 2014 ha compiuto 60 anni la canzone, simbolo del Rock&Roll, della libertà, del manifestare la propria allegria in balli sempre più veloci, Rock Around The Clock.
Scritta da Max C. Freedman e James E. Myers ed incisa nel 1954 da Bill Haley & His Comets, è un invito a lasciarsi andare, a ballare tutta la notte e farsi guidare dal ritmo della gioia in strade interminabili. Ascoltarla oggi significa ancora divertirsi e ogni generazione brucia le suole delle proprie scarpe pur di godersela tutta.
Due compleanni che non invecchiano mai, anzi si rinnovano in eterno. Sono anni suonati, anni ballati, anni trascorsi a respirare momenti di evasione e accompagnare quelli di riflessione. Cambia la società, cambia la voglia di ballare, si alternano momenti bui e di spensieratezza, ma alcune canzoni, come Rock Around The Clock, restano in testa anche quando si è fermi. E alcuni strumenti, come la Stratocaster, seppur a volte in un angolo di polvere e attese, si prendono volentieri per strimpellare un po' e accompagnarsi in quello scorcio di giornata, che avrà pure 60 anni e rotti, ma ha ancora qualcosa da dire e farsi sentire.
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