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Venere in Pelliccia di Roman Polanski

Può un uomo, incollato alle sue piccole certezze, scrollarsi di dosso la potenza gentile e furiosa di una Venere/Iside?

In una magica osmosi tra lo spettatore e l’attore, donataci da un piano-sequenza in soggettiva, percorriamo un tipico boulevard di Parigi, poi giriamo a destra, ed entriamo in un teatro.

Sentiamo di essere in compagnia di una presenza maestosa ma di non facile comprensione. Così come quando esperiamo il buio, tutti i sensi sono stimolati e incoraggiati a percepire, per giunta sono bramanti ad accogliere, nell’attesa, il piacere fisico e completo della visione. Ecco l’incipit!

Thomas (Mathieu Amalric), un regista forse di talento, discorre, con la “sua dolce metà” al telefono, di quanto sia stata fallimentare la sua giornata. Dopo aver fatto le audizioni a ben trentacinque attrici, non ha ancora trovato colei che possa incarnare la protagonista della pièce teatrale, che lui stesso ha adattato dal romanzo Venere in pelliccia (1870) di Leopold von Sacher-Masoch.

Prende corpo, inaspettata e in forte ritardo, una donna di nome Vanda (Emmanuelle Seigner è “venerabile”) e dice di essere lì per l’audizione; da subito i suoi modi, un po’ volgari e non in sintonia con la sensibilità del regista, la mettono in cattiva luce riscuotendo un trattamento poco accogliente da parte di Thomas, tant’è che la accompagna verso l’uscita.

Può un uomo, in questo caso tenero e un po’ narciso, incollato alle sue piccole certezze, scrollarsi di dosso con nonchalance la potenza gentile e furiosa di una Venere/Iside?

Polanski parla di questo nel suo film: “E il Signore Onnipotente lo colpì e lo mise nelle mani di una donna”(Giuditta 13,15).

Sul palcoscenico, Vanda dimostra di essere in pieno possesso di appropriati modi e pensieri per dare vita all’omonima protagonista del romanzo. Se inizialmente Thomas ne è infastidito, poi ne rimane affascinato, intrigato dal potere del suo eros. E in un pas de deux giocoso e saltellante tra finzione e realtà, lei dona a lui quello di cui ha bisogno per liberarsi dai suoi traumi infantili: la frusta, l’umiliazione, le forme sinuose della femminilità e la trasgressione. E così, le pieghe e i dettagli della storia dell’eros vengono spazzate via dalla furia di un’unicità di cui Vanda ne è portatrice.

La dea non subisce e non accetta la visione che l’uomo vorrebbe “innestarle” in un incessante gioco di potere tra i sessi. Lei è una dea, integra e potente, pertanto sterminatrice e “baccantica”.

Il sacrificio della dualità è necessario di questi tempi. Polanski, nella sua tenera età di ottant’anni, ne è consapevole e questo film è un atto d’amore disinteressato per la sua donna (Emmanuelle Seigner è la sua attuale moglie)… e per le donne. E, forse, ancora di più per l’uomo.

Fortunata Grillo