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Vajont – La Diga del Disonore

Nel cinquantesimo anniversario della tragedia, riscopriamo il film di Renzo Martinelli con Laura Morante e Daniel Auteil

Cinquant’anni fa, alle 22.39, un pezzo del monte Toc (che in dialetto friulano vuol dire “marcio”) stimabile in più o meno due chilometri quadrati di superficie, franava nel bacino della diga del Vajont, causando un’onda alta centosessanta metri che riversò cinquanta milioni di metri cubi di acqua, fango e detriti nella valle sottostante, cancellando dalla faccia della terra il paese di Longarone e le sue frazioni Rivalta, Pirago, Faè e Villanova. Si salvarono solo in trenta, le altre 1.917 anime ancora oggi invocano giustizia, inascoltate.

Su questa immane tragedia, sono stati scritti libri (fondamentali “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe” di Tina Merlin e “La storia del Vajont raccontata dal geologo che ha scoperto la frana” di Edoardo Semenza), girati documentari e opere teatrali, come la bellissima “orazione civile” di Marco Paolini, e infine, nel 2001, il film di Renzo Martinelli “Vajont – la diga del disonore”.

Non amo particolarmente Renzo Martinelli, autore di obbrobri storici quali “Barbarossa” e “11 settembre 1683”, ma nel caso specifico di questo film non posso che applaudire un’opera rigorosa e valida, sotto ogni punto di vista.

Comprensibilmente, l’estremismo culturale, religioso e politico del regista ha relegato i suoi film in una sorta di limbo, un fato che “Vajont” davvero non merita.

Il film inizia nel 1959, quando la diga era ancora in costruzione, e ci porta per mano a conoscere i protagonisti della storia, dagli abitanti di Longarone e comuni limitrofi, felici per l’opportunità di occupazione e sviluppo costituita dalla costruzione della diga, ai responsabili del progetto (e del futuro disastro), alla giornalista battagliera, preoccupata a ragione delle ricadute ambientali della creazione di un bacino idrico artificiale di quella portata.

La storia gira intorno all'amore tra Olmo (Jorge Perugorría), geometra che lavora alla costruzione della diga, e Ancilla (Anita Caprioli), ragazza di Longarone, ma si tratta chiaramente di un pretesto, utilizzato sapientemente dal regista per aumentare l'empatia nei confronti degli abitanti della valle e la conseguente reazione emotiva quando gli stessi si tramuteranno in vittime.

Il cast è di tutto rispetto: Michel Serrault interpreta il responsabile tecnico del progetto, Carlo Semenza, con una sorta di dolente rassegnazione, dovendosi piegare alle necessità, soprattutto di natura economica, della SADE (poi Enel-Sade) personificata da Alberico Biadene, interpretato in modo quasi luciferino da un Daniel Auteil tanto per cambiare in stato di grazia. Laura Morante dà invece voce e volto alla giornalista dell’Unità Tina Merlin, che per anni cercherà di far aprire gli occhi all’opinione pubblica sull’enormità del rischio che si stava correndo.

Struggente la figura di Edoardo Semenza (Jean-Christophe Brétigniere) che, incaricato dal padre Carlo di stilare una perizia geologica sulla valle del Vajont (perizia causata dai continui attacchi mediatici della Merlin), scoprirà l’esistenza di una frattura al di sotto dello strato superficiale del monte Toc e tenterà in tutti i modi di convincere il padre della serietà della situazione, ma inutilmente: da lui si voleva una relazione “niente da segnalare”, non una perizia seria, si preferirà quindi l’opinione rassicurante del vecchio professore Giorgio Dal Piaz (Philipphe Leroy), con i risultati che tutti conoscono.

Completa il cast Leo Gullotta, che vinse un nastro d’argento per la sua interpretazione di Mario Pancini, l’unico che sentì la schiacciante responsabilità dell’accaduto e si suicidò.

Gli effetti speciali, trattandosi di un film italiano, sono notevoli e denunciano uno sforzo produttivo importante.

Il film ha vinto un David di Donatello nel 2002 e francamente mi aspetto che, data la ricorrenza, venga prima o poi riproposto in TV, anche perché è stato coprodotto dalla RAI.

Pierluigi Bigotti