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LUCY: recensione in anteprima

Nelle sale italiane dal 25 settembre il nuovo film di Luc Besson

Si dice che Einstein avrebbe lasciato scritto, in alcuni appunti personali, che l'individuo medio usa solo il 10% del cervello. Un'affermazione che i media avrebbero più volte riproposto nel tempo facendo assurgere il racconto a un dato di fatto. Luc Besson "ne ha approfittato" per "rispolverarsi" e dirigere Scarlett Johansson in Lucy, un thriller d’azione che uscirà nelle sale italiane il 25 settembre.

La trama 

Lucy ha 24 anni, studia a Taipei, e un giorno un suo recente partner la obbliga a consegnare una valigetta in sua vece. Al momento della consegna il ragazzo viene ucciso e Lucy viene rapita da un gruppo di malavitosi. Obbligata a lavorare come corriere, viene operata chirurgicamente e nel suo stomaco viene inserita una sacca contenente la droga. A seguito di un violento pestaggio a cui viene sottoposta da uno dei gangster, il pacchetto che trasporta si lacera, e il contenuto si riversa all'interno del suo corpo. Le sostanze vengono assorbite dal suo organismo, e Lucy acquista straordinarie capacità fisiche e mentali, aumentando a dismisura la capacità di sfruttamento del proprio cervello.

L’ennesima eroina armata di semiautomatiche scarrellanti, sex appeal e superpoteri ha come co-protagonista il Professor Samuel Norman (Morgan Freeman), che interrompe a cadenza regolare le frenetiche scene d’azione per intrattenerci con una sorta di carosello/pausa di divulgazione pseudoscientifica, insomma una sorta di Piero Angela.

Purtroppo sembra si sia esaurita (dopo l'inizio promettente del film) la vena di Nikita e de "il Quinto Elemento"; quella solidità è ormai difficile da trovare anche altrove del resto. E poi un buon blockbuster che non può permettersi di fallire deve contare anche su una dose di superficialità, su buchi narrativi e su assiomi sensazionalistici passati per scientifici. L'effetto passaparola farà il resto, perché il blockbuster deve incassare.

A proposito: lo sfruttamento del 10% del cervello è una credenza, assai diffusa, secondo la quale le capacità intellettuali degli umani non sarebbero sfruttate a pieno: gran parte del cervello umano non sarebbe utilizzata; se utilizzata, consentirebbe all'individuo di godere di capacità straordinarie. Alcuni arrivano a sostenere che nell'ipotetico 90% di massa inutilizzata si nasconderebbero importanti capacità psicocinetiche e psichiche in generale, oltre alla possibilità di sviluppare percezioni extrasensoriali.

Sebbene le capacità intellettive del singolo individuo possano crescere nel corso degli anni tramite l'istruzione, percorsi lavorativi e processi di vita quotidiana, la credenza che nella vita si utilizzi sostanzialmente solo il 10% del potenziale effettivo è priva di fondamento scientifico e contraddetta dalle conoscenze in merito; pur se taluni aspetti del cervello umano rimangono sconosciuti, tuttavia si conosce ogni singola parte del cervello e le funzioni associate a ciascuna.

La teoria della mente

Se volessimo affrontare invece “seriamente” le tematiche filosofiche e l’epilogo del film dovremmo ricordare che negli ultimi due decenni il concetto di mente è andato definendosi in tre posizioni principali:

• La mente si caratterizza con proprietà del tutto proprie e il "mentale" deve esser indagato in quanto tale, in sé, senza riduzionismi di sorta alla neurofisiologia

• La mente sarebbe il prodotto o l'attività del cervello e ad esso riducibile, dimostrabile col fatto che la "mente senza cervello non può esistere". Quindi anche la mente sarebbe oggetto d'indagine della neurofisiologia usando le moderne tecniche d'indagine medico-scientifica che si occupano o degli effetti di lesioni cerebrali localizzate o dell'attivazione differenziale (afflusso di sangue) in regioni specifiche.

• La mente, in quanto cervello, è una macchina sostanzialmente computazionale, quindi analoga ai computer. Ne nasce un rapporto molto stretto con la intelligenza artificiale e alimenta gli studi per creare macchine sempre più simili al cervello umano.

Ma la mente, secondo il parere di illustri neurofisiologi come Gerald Edelman, opera in maniera complessa ed ogni riduzionismo porta fuori strada. Scrive infatti Edelman:

«L’analogia tra mente e calcolatore cade in difetto per molte ragioni. Il cervello si forma secondo principi che ne garantiscono la varietà e anche la degenerazione; a differenza di un calcolatore non ha una memoria replicativa; ha una storia ed è guidato dai valori; forma categorie in base a criteri interni e a vincoli che agiscono su molte scale diverse, non mediante un programma costruito secondo una sintassi.»

(G.Edelman, Sulla materia della mente, Milano, Adelphi 1993, pag.236)

Un altro prestigioso neurofisiologo come Joseph LeDoux sottolinea come la mente umana non sia assolutamente concepibile come una macchina perché esprime dei sentimenti:

«La mente descritta dalla scienza cognitiva è in grado, per esempio, di giocare perfettamente a scacchi, e può persino essere programmata per barare. Ma non è afflitta dal senso di colpa quando bara, o distratta dall’amore, dalla rabbia o dalla paura. Né è automotivata da una vena competitiva oppure dall’invidia e dalla compassione.»

(J.Le Doux, Il sé sinaptico, Milano, RaffaelloCortina 2002, pag.34)

Particolari curiosi

Molte scene (mi sbaglierò) sembravano copiate da “Samsara”, bellissimo film documentario del 2011 di Ron Fricke (le danzatrici Legong balinesi, le riprese aeree di Pagan in Burma, Kaaba a la Mecca, la Monument Valley in Arizona, i templi di un gruppo shaolin di kung fu fino alla enumerazione in time-lapse delle aberrazioni odierne dell’uomo, ad esempio quelle del traffico fittissimo di auto e della sovrappopolazione).

Ulteriore particolare curioso (mega spoiler e forse è un'altra suggestione del sottoscritto): l'analogia taoista dell'epilogo, che ricorda "Lei" di Spike Jonze, dove la voce di Scarlett Johansson si dissolve nella pura essenza, senza nome, senza forma, in un fenomeno reale ubiquitario e senza tempo. In questo film non è esattamente così che va, ma...

Massimo Lanzaro

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