CULTURA Letteratura

Joe Abercrombie

La nuova star del fantasy

L’autorevole The Guardian lo definisce “incantevole, contorto e malvagio”; alcuni utenti della rete lo denigrano, altri lo esaltano; c’è chi lo apostrofa come “il nuovo George R.R. Martin”, e chi, con il celebre autore del Trono di Spade, vi intravede solo un’affinità di genere letterario; fatto sta che l’approdo dei romanzi di Joe Abercrombie nelle librerie di tutto il mondo ha lasciato, e continua a tracciare, un segno ben profondo.

Questo giovane ex-montatore freelance e autore televisivo inglese, classe 1974, pubblica, tra il 2006 e il 2008, la trilogia epic-fantasy La Prima Legge (edita in Italia da Gargoyle Books nel 2013-2014), e ottiene subito un successo clamoroso, tanto da venire candidato al prestigioso John Campbell Award per il Miglior nuovo scrittore fantasy. I lettori italiani hanno tuttavia avuto un assaggio del talento dell’autore di Lancaster nel 2012, quando sempre Gargoyle Books pubblica The Heroes, uno dei suoi romanzi autoconclusivi, in verità, successivi alla trilogia principale.

Non a caso è stato tirato in ballo il nome di Martin: i libri di Abercrombie, infatti, appartengono a quel nuovo filone del fantasy, definibile, se vogliamo, come “moderno”, di cui le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco rappresentano il riferimento fondamentale.

Abercrombie ribalta gli stilemi del genere a cui, da Tolkien in poi, i lettori erano abituati: non più una distinta opposizione “bene contro male”, ma uomini in lotta per i propri interessi e tornaconto, ognuno con le proprie motivazioni da difendere; non più semplici battaglie, ma vere carneficine, pregne di violenza e di immagini per stomaci forti, combattute più da bestie che da esseri umani; totale abbandono di qualsiasi elemento puramente fantasioso, fatta eccezione per la magia, qui confinata al ruolo quasi ingenuo di credenza popolare, timido riferimento al concetto di pregiudizio religioso.

Dal punto di vista della narrazione, lo scrittore britannico è abilissimo a caratterizzare psicologicamente ogni singolo personaggio, dal più importante Capo di Guerra fino all’inutile fanciullo porta-stendardo. Ogni capitolo è narrato secondo il punto di vista di uno di essi, a volte anche più di una singola figura: incalzanti, in tal senso, le scene d’azione descritte attraverso i pensieri e le sensazioni dei quattro o più protagonisti della scena, un paragrafo dedicato a ciascuno. Questi stessi protagonisti, e la loro originalità, costituiscono la ragione della forza della sceneggiatura.

Gli eroi di cui ci parla Abercrombie sono lontani dalla concezione classica, non sono impavidi, coraggiosi, di bell’aspetto, integerrimi, ma specchio della realtà: essi hanno paura, sono pieni di lividi, di acciacchi, hanno ginocchia malandate, sono amorali, eccessivamente cinici. E se ne rendono conto. L’autore gioca sapientemente su questa consapevolezza, inducendo il lettore ad affezionarsi a questi antieroi. Non mancano riferimenti al sociale, con una netta e palese critica alla guerra, vista come un enorme sperpero di energie, soldi e vite; gli uomini e i loro intrighi, politici e non, ferocemente attaccati: corrotti dal potere, dai soldi (reputati vero motore di ogni azione umana), capaci di qualsiasi meschinità pur di perseguire i loro scopi.

Ad attenuare il disilluso clima dell’opera ci pensa, tuttavia, un’ampia dose di umorismo sagacemente utilizzato e di cui sentiremo già la mancanza una volta arrivati all’ultima pagina. Ma prima bisogna immergersi nella battaglia, magari facendo attenzione a non incrociare la Madre delle Spade di Whirrun di Bligh, o l’impeto devastante di Bremer dan Gorst.

Daniele Drago