Cinema INTERVISTE

Intervista a Daniele Vicari

Il regista di “DIAZ” ci parla dell’impegno civile nel cinema italiano e dell’importanza di “resistere”

Dopo aver vinto due David di Donatello e nel 2012 il Premio Pasinetti alla Mostra del Cinema di Venezia, e dopo aver conquistato il Festival di Berlino all’epoca di “Diaz” ottenendo il Premio del PubblicoDaniele Vicari è diventato uno dei maggiori esponenti del nostro cinema.

Il regista/sceneggiatore oltre ad essere uno dei migliori nel genere documentaristico d’impegno socio-politico ha esteso questi suoi interessi “civili” anche nelle storie esistenziali dei suoi film e lungometraggi. Indelebile rimarrà nella nostra memoria “Diaz”, emozionante “L’Orizzonte degli Eventi”, assennato e inducente il suo ultimo documentario “La Nave Dolce”, insomma, un “racconta storie” che abbiamo avuto l’onore di conoscere per una chiacchierata… per entrare nella sua arte fatta d’impegno ma anche di vera passione per il cinema.

Ecco che cosa ci ha detto:

- In ogni suo lavoro lei sa sempre come sporcarsi le mani, con immagini che urlano cercando di risvegliare coscienze, indignare e indignarsi. Così, per cominciare e conoscerla meglio, voglio chiederle: si sente più un regista/sceneggiatore in senso stretto od un’artista ʿidealeʾ? Nel suo modo di trasmettere le sensazioni, e quindi nella sua arte, si sente più apollineo o dionisiaco?

Sono domande troppo difficili. Io sono uno che si arrabatta. Quando trovo una storia cerco il modo più giusto per farne un film. Se questo film è un’opera d’arte o meno non posso essere io a dirlo, ma chi lo vede. Apollineo e dionisiaco si mescolano nella coscienza di tutti noi, a volte prevale il primo a volte il secondo, e non puoi farci niente.

- Nel suo film “Il Passato è una Terra Straniera” in un certo senso rimane rilevante il tema dell’identità e del doppio. Questa vicinanza non può essere altrimenti. È vero, dunque, che noi senza l’altro non “siamo” nulla? E inoltre, cosa ne pensa della doppia vita oggi presente sui Social Networks?

I Social Networks sono un gran casino, vi si trova di tutto, e quel tutto può rivelarsi il nulla da un momento all’altro. A me piace immergermi in questo mondo virtuale, senza mai staccare però i piedi da terra. A proposito del “doppio” che abita dentro ciascuno di noi, secondo me è bello ogni tanto farci i conti, e con “Il Passato è una Terra Straniera” io ci ho provato.

- La maestria nel far parlare i “fatti”, in “Diaz”, sembra voglia rappresentare una situazione dove, in un certo senso, ogni emergenza sociale viene venduta dal sistema come una questione di ordine pubblico? Un po’ come sta accadendo oggi con i “Forconi”? E dunque: ci stiamo avvicinando al rischio di una modalità di gestire la ʿcosa pubblicaʾ di nuovo fuori da ogni controllo democratico? Ha paura che si possa arrivare ad una “sospensione” dei diritti civili per strumentalizzare, e dunque bloccare, la protesta della gente?

Mah, i “Forconi” sono uno dei frammenti risultanti dalla disgregazione sociale e politica che stiamo vivendo. Non mi sembra però che nei confronti di questo movimento lo Stato stia usando il pugno duro. Gli studenti invece subiscono un livello di repressione ben maggiore, è l’aria che tira. I giovani che reclamano un futuro fanno più paura dei nostalgici di regimi autoritari, ed è in questo atteggiamento che può annidarsi una possibile “sospensione” dei diritti civili.

 - “Diaz” e “La Nave Dolce” appaiono come una forte sterzata nelle immagini del suo cinema. Con questo documentario affronta l’archetipo della nave che imbarca la povera gente in cerca di un “nuovo mondo”, e questo, ha inevitabilmente a che fare con le derive democratiche del nostro Paese (vedi la presenza stessa dei CIE, e la loro estraneità ai diritti civili). Quindi le chiedo: il Paese è sempre più chiamato a fare i conti con se stesso? Anche attraverso il cinema? Finanche con la multiculturalità ormai presente nei nostri tessuti sociali? Se questo Paese dovesse collassare nella crisi, lei pensa che potrebbe un giorno andare via in cerca di migliori stili di vita?

Non mi piace fuggire, anche se la vita a volte può costringerti a farlo. Il cinema può senza dubbio aiutarci a comprendere meglio le dinamiche politiche sociali e psicologiche che caratterizzano il tempo presente, a patto però che i film siano effettivamente all’altezza. Ma questo tipo di cinema non sembra essere molto in voga. Nonostante questa amara constatazione penso valga la pena non mollare.

- Crede che - ancor di più in questi anni - ci sia bisogno di un cinema d’impegno civile? Ritiene davvero che i giovani d’oggi possano essere sensibilizzati da un film? Pensando ad un attore impegnato come fu Gian Maria Volonté, “se potesse” che tipo di film farebbe insieme a lui? Come è cambiato l’impegno civile da quei tempi ad oggi nel cinema italiano?

Io cerco il mio Gian Maria Volonté negli attori italiani contemporanei. La cosa che mi è sembrata più opportuna fare per onorare la memoria di Volonté è stata quella di intitolare a lui la Scuola di Cinema Provinciale che ho l’onore di aver contribuito a fondare insieme a molti altri cineasti. La direzione artistica di questa scuola è una delle esperienze più belle della mia vita.

- Al pubblico, in un’ipotetica lezione di cinema, si sentirebbe di consigliare più un film di Garrone o di Sorrentino?

Sorrentino senza dubbio.

- Ci può dire quali sono i progetti per il futuro?

Ne ho troppi per poterne parlare sinteticamente, e non avendo ancora deciso a cosa dare la precedenza preferisco tacere.

All’interno della 31a edizione del Festival di Bellaria, il regista ha ricevuto il premio alla carriera con la seguente motivazione: «Con il Premio alla carriera a Daniele Vicari, il Bellaria Film Festival omaggia un protagonista del cinema italiano, che tra documentario e finzione ha saputo raccontare negli anni, con arguzia e grande senso critico, la nostra società, la nostra storia, il nostro Paese». Tanto per ricordarci di che spessore d’artista stiamo parlando...

Andrea Fatale