Muhammad Ali, figlio di un disegnatore di insegne pubblicitarie e di una cristiana battista, nasce, con il nome di Cassius Marcelus Clay, il 17 gennaio del 1942 a Louisville, Kentucky ed inizia a tirare di boxe per un caso fortuito, dopo essere capitato in una palestra mentre, bambino, era alla ricerca della propria bicicletta rubata.
Sin da subito, ancora adolescente, colleziona numerosi trionfi nelle categorie dilettantistiche e nel 1960 a Roma, si consacra campione Olimpionico espimendo un pugilato elegante, sfrontato e tremendamente efficace. Il suo talento è ineguagliabile, come lui stesso dichiarerà qualche anno dopo:
Io sono il più grande, mi muovo sul ring come una libellula e pungo come un'ape.
Divenuto professionista, l'ascesa ai vertici della classica mondiale è rapidissima. A soli 22 anni, allenato da Angelo Dundee, uno dei migliori "secondi" dell'epoca, conquista il titolo mondiale dei pesi massimi battendo in sette riprese l'allora leggendario Sonny Liston (Miami, 25 febbraio 1964). "Onestamente non credevo di aver portato un colpo così decisivo", afferma subito dopo il successo.
Il giorno seguente, il 26 febbraio del 1964, il giovane Cassius annuncia al mondo la propria conversione all'Islam, assumendo il nome di Muhammad Alì. Da quell'istante la propria fama travalica il semplice ambito sportivo, perché Alì è un uomo diverso e rivoluzionario per i suoi tempi; è più di un atleta capace di tirare pugni ed abbattere avversari: è un grande comunicatore! Un uomo che prende a cuore le tematiche che lo colpiscono in prima persona e in grado di parlare alla gente. Molto sensibile e trascinato dal suo spirito battagliero diventa ben presto il simbolo dell'America "nera" che pretende di emanciparsi dalla segregazione razziale.
Proprio a causa di un episodio di razzismo il giovane Alì arriva, in segno di protesta contro il "mondo bianco" che in un ristorante gli nega un posto a tavola per il colore della sua pelle, a gettare il proprio oro olimpico nelle acque del fiume Ohio (e solo nel 1996 ad Atlanta il CIO decide di donarli una medaglia sostitutiva).
Nel 1967 rifiuta la chiamata alle armi per il Vietnam definendosi "obiettore di coscienza". "Conosco i vietcong soltanto per quello che ci ha fatto vedere la televisione, comunque nessuno di loro mi ha mai dato pesantemente del negro, come invece accade nel mio Paese", dichiara alla stampa suscitando un'ondata di polemiche. Viene condannato da una giuria composta da soli bianchi a 5 anni di reclusione; riesce ad evitare il carcere ricorrendo in appello, ma gli viene sospesa la licenza di pugile per indegnità. È uno dei momenti più bui della propria vita e viene costantemente attaccato per il suo impegno nelle lotte condotte da Martin Luther King e Malcolm X.
Quando ritorna sul ring è il 1970. Dopo pochi incontri, vinti facilmente, ottiene il diritto di sfidare il campione dei pesi massimi in carica: Joe Frazier. Il match si disputa nel marzo del 1971 al Madison Square Garden di New York. È la prima di una serie di grandi sfide che vedono per tutti gli anni Settanta Alì impegnato nella conquista o nella difesa del titolo. In questa occasione, viene sconfitto, finendo al tappeto alla quindicesima ripresa. La rivincita con Frazier avviene solo all'inizio del 1974, in un incontro non valido per la conquista del titolo. Precedentemente Alì aveva dovuto subire, nel 1973, una sconfitta da Ken Norton che gli aveva provocato la frattura della mascella.
QUANDO ERAVAMO RE - Alì è considerato a questo punto della carriera un pugile in declino, avviato sul viale del tramonto, quando nel 1974 Don King, storico manager - organizzatore di "incontri evento" - gli propone la sfida con George Foreman che nel frattempo aveva strappato la corona dei massimi proprio a Joe Frazier. Il match è organizzato a Kinshasa, la capitale dello Zaire.
Foreman è il campione in auge, giovane e duro come la pietra si presenta all'appuntamento da favorito con un record impressionante di vittorie: ben 40, di cui 37 per KO prima del limite e nessuna sconfitta. C'è addirittra chi suggerisce ad Alì di mollare tutto perché è certo che questo incontro avrà un epilogo drammatico. Secondo quanto racconta lo scrittore Norman Mailer anche l'entourage di Alì era pervaso da un grande pessimismo circa l'esito del match. Nonostante il clima di sfiducia che lo circonda, Muhammad, non perde occasione per ribadire la certezza nella vittoria, galvanizzato dall'entusiasmo della popolazione Zairese che lo accoglie trionfalmente. Inoltre si concede alla stampa annunciando che "danzerà" sul ring come non mai, rendendosi imprendibile e vanificando così la potenza dell'avversario.
Mobutu, il presidente-dittatore dello Zaire, mette in palio una borsa di dieci milioni di dollari e trasforma l'evento in una gigantesca operazione mediatica - dove Alì è il paladino dell'orgoglio africano e "nero".
Per le strade di Kinshasa la popolazione in delirio lo segue ovunque e grida: "Alì buma ye!", "Alì, uccidilo!".
È il 30 ottobre 1974 quando i due sfidanti salgono sul ring per quello che passerà alla storia come uno degli incontri più entusiasmanti della storia della boxe.
Davanti ad un pubblico febbricitante, il match si apre con un Muhammad Alì inaspettatamente all'attacco, nel tentativo di cogliere di sorpresa l'avversario con alcuni rapidissimi uno-due al volto. Ma nei round successivi è Foreman ad incalzare e ad incollare "la libellula di Louisville" alle corde con una pressione implacabile e dei colpi potentissimi, gli stessi con i quali aveva liquidato Frazier e Norton in meno di due riprese. Alì sembra spacciato eppure non crolla, schernisce ed insulta l'avversario sussurrandogli frasi nell'orecchio, continua ad incassare le martellate di Foreman sorretto da una forza sovraumana.
All'ottavo round, mentre tutto sembra procedere con lo stesso copione delle riprese precedenti, con Foreman all'attacco ed Alì chiuso nell'angolo con il volto nascosto dietro i guantoni alzati, improvvisamente arriva l'epilogo imprevedibile e straordinario: in un fulmineo contrattacco Muhammad sguscia fuori dall'angolo e porta una serie velocissima al volto del rivale che, per la prima volta nella propria carriera, crolla al tappeto. È il trionfo più bello di Alì e una serata memorabile per la storia dello sport. L'evento è raccontato in un bellissimo documentario del 1997, Quando eravamo re (When we were kings), di cui vi invitiamo a leggere la recensione nella nostra rubrica "8 e Mezzo" curata da Pierluigi Bigotti.
THRILLA IN MANILA - Il primo ottobre del 1975 Alì torna ad affrontare Joe Frazier per la terza ed ultima volta, mettendo in palio il suo titolo mondiale, per stabilire chi dei due fosse definitivamente il più forte. L'incontro si svolge a Manila nelle Filippine e viene denominato "Thrilla in Manila". È un match drammatico che vede i due protagonisti combattere con ardore, senza risparmiarsi un istante. Prima dell'inizio della quindicesima ed ultima ripresa l'allenatore di Frazier, getta la spugna, ritirando il proprio atleta letteralmente distrutto dai jab di Alì. Ancora oggi, per la rara bellezza tecnica e per l'enorme coraggio dimostrato da questi due immensi campioni, questo è ritenuto dagli esperti il più grande incontro di pugilato di tutti i tempi.
LA PARABOLA DISCENDENTE - Dal 1976 la velocità di Alì incomincia a diminuire e dal 1977 non riesce più a mettere KO i propri avversari. Nel 1977 affronta Earnie Shavers, battendolo per decisione unanime ai punti in una sfida spettacolare, in cui il Campione è messo al tappeto alla quattordicesima ripresa da un potente gancio destro. In molti attribuiscono alla violenza di questo match la malattia (il morbo di Parkinson) che qualche anno dopo colpirà Alì.
Nel 1978 perde il titolo ai punti contro Leon Spinks. Sconfigge lo stesso nell'incontro di rivincita, ma subito dopo annuncia il proprio ritiro dalla boxe.
Torna nel 1980 per provare a riconquistare il titolo contro Larry Holmes, ma perde per abbandono alla decima ripresa. Combatte per l'ultima volta l'11 dicembre 1981 contro Trevor Berbick dove è sconfitto ai punti. In questo combattimento di commiato Alì appare molto lento nei movimenti; sono i chiari sintomi della Sindrome di Parkinson che già pervade il suo corpo.
Negli ultimi anni Muhammad Alì ha commosso l'opinione pubblica di tutto il mondo, turbata dal violento contrasto tra le immagini esuberanti e piene di vita di un tempo e l'uomo sofferente com'è adesso. Nonostante ciò, il grande atleta, dotato di una forza di volontà e di un carattere d'acciaio, non si è fatto moralmente sconfiggere dalla malattia e continua a combattere le proprie battaglie come ambasciatore di pace, in difesa dei diritti civili; come simbolo per la popolazione di colore americana.
Muhammad Alì, è stato probabilmente il più grande pugile di tutti i tempi ed è un'icona immortale del nostro tempo.