A chi appartiene un'opera cinematografica?
Questa domanda me la sono posta partecipando ad una accesissima discussione su un forum di settore, generata dalle prime recensioni sulla versione estesa della trilogia del "Signore degli Anelli", rimasterizzata dal file digitale 2K originale appositamente per l'uscita in Blu-Ray.
Il motivo del contendere è che il risultato, approvato personalmente dal regista e dal direttore della fotografia, oltre ad essere un chiarissimo miglioramento rispetto alla precedente versione in HD della versione cinematografica della trilogia sia per senso di profondità che per dettaglio, presenta anche una colorimetria differente, con un viraggio verde-ciano francamente piuttosto discutibile.
Sembra, ma non c'è alcuna certezza al riguardo, che la cosa sia dovuta a precise istruzioni di Peter Jackson, che voleva introdurre una certa continuità cromatica con i tre nuovi film tratti da "Lo Hobbit", il primo dei quali è passato nelle sale in questa stagione.
Questo mi ha fatto pensare ad altri casi celebri di modifiche tardive: dalla saga di Star Wars, con i tre film originali pesantemente modificati per non essere in contraddizione con la trilogia "prequel", all'edizione "Director's Cut" del meraviglioso "Picnic at Hanging Rock", da cui Peter Weir ha tagliato alcune scene, guadagnando senz'altro sotto il profilo del ritmo del film, ma scontentando una parte del pubblico (compresa l'interprete del personaggio di Miranda, Anne Lambert) che quelle scene le aveva amate moltissimo.
Rielaborandola, la domanda può essere posta in questi termini: un'opera cinematografica, appartiene al suo autore, a chi l'ha prodotta o, una volta uscita, appartiene al pubblico?
Di primo acchito, mi verrebbe da rispondere che appartiene al pubblico, non si contano infatti le volte che ho smadonnato ritrovandomi a vedere un film diverso da quello che ricordavo e amavo, dalle scene tagliate nei film di "Trinità" a quelle aggiunte nel redux di "Apocalypse Now", ma pensandoci bene non posso affermare che debba essere comunque sempre così.
Penso ad esempio a "Blade Runner", di cui ho amato moltissimo la versione uscita nelle sale nel 1984, con la voce fuori campo e il lieto fine, peccato che non fosse affatto il film che aveva girato Ridley Scott. Le riprese finali erano addirittura state scippate a "Shining", con cui "Blade Runner" condivideva la produzione (Warner).
Il Director's Cut di "Blade Runner" è tutt'altro film, molto più cupo, privo di qualsiasi speranza di redenzione, probabilmente molto più valido dal punto di vista narrativo.
Io però al cinema ho visto il collage produttivo del 1984, non il film come era stato inteso dall'autore, ho amato quello, e mi prende un vago senso di fastidio ogni volta che mi capita di vedere il Director's Cut.
Ciò non toglie che Ridley Scott avesse tutto il diritto di mostrarci quello che era realmente il suo film. Probabilmente chi è più giovane di me l'altra versione non l'ha mai vista e non si pone il problema e magari se la vedesse proverebbe un senso di fastidio paragonabile al mio, ma al contrario.
Un caso limite riguarda sempre Ridley Scott e il suo controverso "Le Crociate", uscito in sala con pesantissimi tagli (una cinquantina di minuti), pretesi dalla produzione per limitarne la durata.
Chiunque abbia visto il film in sala, ha avuto la precisa percezione di ciò che il film avrebbe potuto essere e invece non era, questa percezione era dovuta ai tagli di cui sopra.
Fu tagliato un personaggio centrale (il figlio della principessa di Gerusalemme) e tutta la linea narrativa che a lui faceva riferimento, con il risultato di impoverire in maniera notevolissima sia la storia che la psicologia dei personaggi principali, rendendo poco comprensibili le loro scelte e dando allo spettatore l'impressione che la sceneggiatura fosse stata "tirata via" in favore della spettacolarità dell'intero pacchetto: un film più forma che sostanza, insomma. Niente di più falso.
Il film nella sua interezza è oggi disponibile in Blu-Ray e, per chi fosse interessato, non si tratta di una versione leggermente differente, ma proprio di un altro film, molto più profondo e compiuto.
Tornando alla domanda che mi sono posto, la realtà è che la questione è spinosa e, onestamente, una risposta assoluta non credo sia proponibile.
Sarebbe bello però se in linea di massima i registi, una volta lasciati andare i loro figli per il mondo, gli lasciassero la loro autonomia senza cercare, a distanza di tempo, di reindirizzarne i passi.
Pierluigi Bigotti