Psicologia e Sociologia

Matofobia, la paura dei numeri

Un’indagine scientifica ha attestato non solo l’esistenza della matofobia ma anche e soprattutto il carattere ereditario della medesima

“La matematica non sarà mai il mio mestiere”: lo abbiamo fatto in tanti, questo pensiero che Venditti ha sapientemente musicato e inserito nel testo di una delle sue hit più conosciute e amate, di fronte a un compito di matematica somministratoci durante il ciclo d’istruzione. E in tanti abbiamo sempre fermamente sostenuto - essendone pienamente convinti - di non essere portati, se non addirittura assolutamente negati, per la matematica e, più in generale, per tutto ciò che ha anche solo lontanamente a che fare coi numeri e con le misure; in pochi, invece, abbiamo pensato di essere matofobici, vale a dire impauriti dalla matematica. Tutt’al più siamo stati sfiorati dal pensiero che l’apprensione che avvertivamo a scuola - e che tutt’oggi avvertiamo quando siamo chiamati a cimentarci con esercizi numerici o problemi di logica - nei confronti della “scienza razionale dei numeri e della geometria” fosse talvolta eccessiva e irragionevole.

E invece no. A sbatterci in faccia la dura realtà ha provveduto una ricerca, condotta da un gruppo di psicologi americani, titolata “Effetti intergenerazionali dell’ansia per la matematica dei genitori sull’ansia per la matematica e i risultati in matematica dei figli”, la quale ha attestato non solo l’esistenza della matofobia ma anche e soprattutto il carattere ereditario della medesima: l’ansia per l’aritmetica e la geometria viene trasmessa dai genitori ai figli.

Dei 438 allievi che hanno preso parte allo studio (provenienti da 29 scuole di 3 differenti stati americani) sono risultati matofobici solo i figli delle persone affette dalla fobia della matematica; la matofobia di genitori e figli è stata determinata dagli psicologi attraverso la somministrazione di un questionario che indagava sulla loro ansia nei confronti della matematica ai primi e tramite la misurazione delle abilità matematiche e del loro livello di preoccupazione all’inizio e alla fine dell’anno scolastico ai secondi. La ricerca ha confermato la tesi espressa anzitempo dal matematico Seymur Papert, secondo il quale le difficoltà relative all’apprendimento di qualsiasi disciplina non sono congenite bensì indotte dall’ambiente esterno.

matofobia-donna

Un ruolo particolarmente determinante in tale senso sembrano giocare, nel caso della matematica, la famiglia d’origine e la scuola primaria.

Come dimostrato dalla ricerca, i genitori matofobici che aiutano i figli a eseguire i compiti finiscono col danneggiarli a causa dell’apprensione per i numeri che, seppure non intenzionalmente, trasmettono loro, cosa che non avviene se ai bambini/ragazzi viene permesso di fare i compiti da soli.

Un discorso analogo vale per gli insegnanti, in particolare per i maestri delle elementari: poiché la matofobia spesso nasce proprio in età scolare, è fondamentale che i docenti (che è importante non siano essi stessi matofobici) si attivino al massimo delle loro possibilità per fare comprendere ai loro allievi, attraverso una didattica stimolante, partecipativa e, perché no, anche giocosa, che la matematica e la logica sono fondamentali per la risoluzione dei problemi concreti che si troveranno ad affrontare nella vita quotidiana.

E’ essenziale che gli allievi capiscano che le abilità matematiche non sono congenite, che nessun individuo “mediamente intelligente” è incapace di apprendere i concetti della matematica proposti a scuola e che non esistono persone portate e persone negate per i numeri e le misure.

Solo un tempestivo e adeguato intervento dei genitori e degli insegnanti è in grado di scongiurare sia la precoce formazione dell’idea che la matematica incarni una disciplina astrusa ad appannaggio di pochi, sia l’insorgenza del timore nei confronti di essa.

Operando in tal senso si potrà, forse, arrivare, tra qualche decennio, a colmare il profondo GAP che divide l’Italia dai paesi orientali rispetto alle conoscenze matematiche nonché a ad avere una cultura non più caratterizzata dalla divisione fra sapere umanistico e sapere scientifico e dalla supremazia del primo sul secondo.

D’altronde la matematica è “realtà nella natura” e, se anche non faremo mai di essa la nostra professione, non possiamo permetterci di dimenticare che “dalle stelle del cielo alle cose più concrete della vita, senza matematica non si può affrontare niente”.

Dalila Giglio