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L’Inghilterra dei Tudor e il suo fascino senza tempo

Ancora oggi, più di quattrocento anni dopo la sua fine, la dinastia inglese dei Tudor affascina il grande pubblico e alimenta di storie sia il cinema che la letteratura. Lo dimostrano film come Maria Regina di Scozia (Josie Rourke), uscito appena a gennaio di quest’anno, e il successo mondiale dei romanzi storici di autrici come Elizabeth Chadwick o Philippa Gregory. Ma quali sono le ragioni di questo fascino senza tempo?

Per «era Tudor» s’intende il periodo che va dal 1485, con l’ascesa al trono di Enrico VII Tudor e la fine della Guerra delle Due Rose, e il 1603, anno di morte della regina Elisabetta I. Anche se l’Inghilterra nel complesso prosperò sotto i sovrani Tudor, questi anni rimangono segnati da conflitti, tensioni e incertezze a livello dinastico, politico e religioso. Questo, indubbiamente, è un primo elemento che rende quest’epoca tanto allettante per sceneggiatori e romanzieri.

Sotto il profilo religioso, durante il regno di Enrico VIII (1509-1547) si consumò la scissione tra la Chiesa d’Inghilterra e il Papato, una separazione principalmente ancora amministrativa e non teologica. Al più famoso re Tudor, seguirono poi i suoi tre figli, in un’altalena di visioni confessionali: Edoardo VI, durante il cui regno si passò a una più radicale riforma in senso luterano; Maria I (1516-1558), passata alla storia come Maria la Sanguinaria (Bloody Mary) per il violento tentativo di restaurare il Cattolicesimo; ed Elisabetta I (1553-1603), di base protestante, che intraprese una strada più cautamente riformista e tollerante verso le altre fedi. Questo susseguirsi di monarchi tanto differenti non fu un processo privo di conflitti, anzi si consumò tra accuse di illegittimità, testamenti, pretendenti al trono e attentati falliti. Insomma, uno scontro a tutto campo tra fazioni che, sotto lo stendardo della chiesa cattolica o riformata, lottavano anche e soprattutto per i propri interessi politici ed economici.

Del resto, all’origine dello scisma anglicano – comunque favorito dal clima di fermento religioso diffuso in Europa – c’era un problema essenzialmente dinastico, quello di Enrico VIII. La storia del re spietato e delle sue sei mogli è di gran lunga la vicenda più famosa dell’era Tudor, narrata in innumerevoli opere cinematografiche, letterarie e teatrali. In un regno dove prosperava sia l’economia che l’arte, a Enrico VIII (r. 1509–47) mancava soltanto una cosa, di fatto la più importante per un monarca: un erede al trono. In più di vent’anni di matrimonio sua moglie, la regina Caterina D’Aragona, gli aveva dato “soltanto” una figlia, Maria, oltre ad aver partorito diversi bambini morti poco dopo il parto e aver subito vari aborti. Il re aveva dunque bisogno di un’altra moglie per garantire la continuità della dinastia e la stabilità del regno. Di fronte al rifiuto del Papato di annullare il matrimonio reale, la ribellione alla Chiesa Romana era l’unica soluzione rimasta.

Al fallimento del primo e più lungo matrimonio, seguirono cinque brevi unioni: tre anni con Anna Bolena (1533-36) – poi decapitata per adulterio, incesto, stregoneria e alto tradimento – che gli diede di nuovo “soltanto” una figlia femmina, la futura regina Elisabetta I; meno di due anni con Jane Seymour (1536-37), morta di setticemia dopo aver dato alla luce il sospirato (ma fragile) erede al trono, Edoardo; pochi mesi con Anna di Clèves, considerata di scarsa avvenenza dal sovrano, il quale non consumò mai il matrimonio e chiese un nuovo annullamento; poco più di un anno con Katherine Howard (1540-42), condannata presto a morte per le sue relazioni adultere; e infine quattro anni con Katherine Parr (1543-47), l'unica a essergli sopravvissuta. Guardando la vita coniugale di Enrico VIII da un punto di vista narrativo, si ottiene una trama che, se fosse frutto della fantasia di qualche scrittore, sarebbe forse giudicata eccessiva o irrealistica. Eppure è storia.

Uno degli aspetti più interessanti di queste vicende è il ruolo delle donne. Se per Enrico VIII le mogli erano un mezzo per ottenere un erede al trono, oppure l’oggetto di improvvise infatuazioni e altrettanto repentini rinsavimenti, gli ultimi anni della dinastia Tudor vedono le donne al potere. Dopo la morte di Edoardo VI, per anni il trono fu conteso tra donne: Lady Jane Grey (pronipote di Enrico VIII), Maria I, Elisabetta I e Maria Stuarda di Scozia. La lotta tra queste ultime due, consanguinee, avversarie politiche e paladine di fedi diverse, occupa indubbiamente un posto d’onore tra i soggetti più avvincenti della storia Tudor. È peculiare che l’accettazione del potere femminile non abbia comunque portato alla fine della misoginia medievale, né a corte né fuori; anzi questo sentimento fu alla base della cosiddetta caccia alle streghe, regolamentata ufficialmente dai Witchcraft Act del 1542 (Enrico VIII) e del 1563 (Elisabetta I). Anche questo è un aspetto che ha sempre attirato l’attenzione del pubblico, con storie di donne ingiustamente accusate di stregoneria sulla base di improbabili indizi e dicerie di quartiere. Questo, del resto, era il metodo più facile per far condannare a morte una donna e fu appunto usato anche contro Anna Bolena, accusata tra l’altro di aver stregato il re e commesso incesto con suo fratello (un crimine, quest’ultimo, considerato tipico delle streghe). I suoi nemici a corte diffusero inoltre la voce che la regina Anna avesse un sesto dito e una protuberanza sul collo, entrambi inequivocabili marchi della sua natura diabolica.

Ma in quest’epoca ancora dominata da paure e superstizioni, c’era anche chi non temeva l’ignoto. L’epoca Tudor segnò infatti anche l’inizio delle esplorazioni d'oltreoceano e delle conquiste coloniali, con famosi avventurieri, navigatori e conquistatori come Sir Francis Drake e Sir Walter Raleigh. Se tutto questo non bastasse, in questi anni di fermento prosperarono anche le arti, in particolare il teatro, con nomi del calibro di William Shakespeare.

L’epoca Tudor offre dunque un vasto repertorio di accadimenti sul quale creare opere avvincenti. Il risvolto della medaglia è che, grazie all’ampia letteratura disponibile, il pubblico degli appassionati tende a conoscere i fatti e diventa sempre più esigente in termini di accuratezza storica. Tutto viene scrutinato: non solo gli eventi in sé, ma anche la moda, il cibo, le consuetudini, i titoli: ogni cosa dev’essere realistica. Anche se un film o un romanzo sono opere di finzione, oltre all’intrattenimento, al ritmo, alla suspense, è richiesta anche la precisione di un documentario. Questo forse perché, in fondo, il vero fascino di queste trame è che non sono solo fantasia, ma appunto storia.

Diana Burgio