Si intitola “Onirica” il nuovo album dell’artista compositore Emanuele Scataglini. Un’opera immaginifica che trasforma in musica l’esperienza onirica, l’instabilità del sogno, il confine sottile tra veglia e immaginazione, e che come altre opere di Scataglini trae origine dal “profondo”, dall’esplorazione del proprio “Io” e dallo stretto rapporto con la “filosofia”.
– Buongiorno Emanuele, ci parli di “Onirica” il suo nuovo progetto musicale dedicato al “sogno”.
Il tema del sogno e dell’inconscio è un elemento della mia poetica, uno dei miei dischi del 2019, infatti, era dedicato al surrealismo e si intitolava per l’appunto “Surreal World”. Anche le altre mie produzioni sono legate esplicitamente, con diverse prospettive alla realtà Onirica, come “Animus et Anima” ed alcuni brani del progetto “The Carousel”.
– Quanto la filosofia, ha ispirato la realizzazione di questo album?
Uno dei punti saldi della mia formazione è la filosofia di Schopenhauer, su cui cui ebbi la fortuna, in gioventù, di assistere alle lezioni del Professor Giovanni Piana, una grande mente teoretica.
Parto, quindi, da Schopenhauer in questo disco e, in particolare dal suo bellissimo aforisma: “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.” L’invito del filosofo è quello di vivere la vita psichica nella sua pienezza, senza discriminazioni tra sogno e realtà. D’altro canto, nel pensiero di Schopenhauer c’è l’impossibilità di raggiungere una sintesi tra i due aspetti differenti del Welt, ovvero dell’esperienza umana nella sua dimensione generale.
Schopenhauer “odiava” Hegel, il metodo dialettico e la riduzione idealistica del mondo con la sua pretesa di cogliere nel razionale il senso del divenire storico.
Per il filosofo di Danzica, invece, l’essere non è intrinsecamente razionale, non esiste nessuna mano invisibile ad orientare il divenire, gli opposti non trovano una sintesi: una teoria unificante non è possibile, si deve accettare che il Mondo, il Welt si divida in due aspetti inconciliabili quella della rappresentazione, Vorstellung, sottoposta alle leggi di causa ed effetto, che sembra avere una razionalità implicita e quella della Volontà di vivere, Wille, ovvero il principio primo dell’esistere che è senza scopo se non quello di perpetuare la propria esistenza anche a discapito degli essere viventi razionali.
Schopenhauer è stato fondamentale per la psicoanalisi freudiana, ha rappresentato, infatti, il filosofo che meglio ha descritto la dimensione inconscia dell’essere, come fondata su pulsioni di morte e di vita. Va però detto che, mentre Schopenhauer credeva che il primato della volontà di vivere fosse assoluto, indomabile e quindi irriducibile dal razionalismo, per Freud, legato alla filosofia tedesca e alla cultura classica, l’inconscio pur essendo un luogo di pulsioni senza controllo, un mondo nascosto, molto simile all’Ade, attraverso le tecniche della scienza può essere gestito.
Freud, riteneva che le pulsioni potessero, infatti, essere ricondotte e gestite dall’Io attraverso gli strumenti della terapia del profondo e che alla fine la razionalità fosse il meccanismo di “difesa” per salvaguardare l’Ego dalle crisi psicotiche.
C’è in Freud molto positivismo, alcuni hanno intravisto persino una posizione vicina al pensiero hegeliano, come rivelano studi recenti di Putman e Ricœur. Secondo questa interpretazione, il percorso psicoanalitico può essere pensato un processo dialettico tra tesi/antitesi e sintesi ove i primi due movimenti sono rispettivamente Ego/Es e la sintesi ha analogie con l’elaborazione.
La psicologia del profondo, quindi, secondo questa visione, considera il mondo Onirico, i sogni, gli atti mancati, come necessari per interpretare le pulsioni inconsce e ricondurle alla dimensione razionale.
La notte è strumento per la vita diurna, i sogni sono essenziali per la veglia.
La concezione filosofica di Schopenhauer, che ha influenzato il pensiero psicoanalitico, freudiano e Junghiano, viene così rovesciata: l’inconscio, la volontà di vivere, pur essendo la parte più importante della psiche, la più vasta, servirebbe alla parte più piccola e più debole, quella dell’Io, per continuare a vivere nella sua dimensione quotidiana.
Ritengo, a questo punto, molto importante introdurre la filosofia di Hillman.
Hillman critica gli aspetti della scienza psicoanalitica di cui abbiamo accennato; è contrario all’interpretazione dell’onirico come strumento per gestire il mondo della veglia, per vivere meglio l’esperienza della quotidianità; infatti, per il filosofo, il mondo onirico, da lui chiamato mondo Infero, riferendosi alla cultura greca, non dovrebbe essere privato della sua autonomia, della sua dignità, né interpretato solo in dimensione razionalistica di aiuto per la veglia.
Per Hillman, Il mondo infero, inoltre, non è solo dominato da pulsioni negative, ma rappresenta la spinta verso tutto ciò che vi è di positivo nella vita quotidiana: l’amore, l’arte, la compassione e, come accennavamo, ha una sua realtà indipendente dalla veglia, una propria autonomia, una sua irriducibilità all’elemento logico razionale. Come direbbe Schopenhauer, la Volontà di vivere non può essere compresa dal mondo della Rappresentazione.
Voglio tornare un attimo all’Autore de “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione”.
Schopenhauer spiega l’egoismo teorico, la sopraffazione e la violenza come il risultato di una eccessiva valutazione della nostra individualità; noi filtriamo la realtà con i nostri sensi, con la nostra mente, con la nostra psiche, direbbe Freud ed è proprio per questo che ci sentiamo sempre al centro del Welt. Ma tale interpretazione è forviante, perché ci fa credere di essere al centro della realtà e che gli altri siano una “appendice”, uno strumento del nostro ego.
Il concetto di giustizia non appartiene, perciò, secondo Schopenhauer, al mondo della Razionalità, ma al sentimento inconscio che ci fa comprendere quanto noi siamo uguali agli altri esseri viventi, un breve accidente inserito nel divenire cosmico. Il principio di analogia, di parentela con gli altri esseri viventi, appartiene alla nostra dimensione infera, tutti gli altri sono anch’essi parte della Natura. L’empatia e la Cura verso il Mondo nascono dal mondo infero, non da un’indagine razionale.
Se noi crediamo che tutte le pulsioni possano essere razionalizzate, finiamo per negare l’esistenza del mondo infero, neghiamo a noi stessi che moriremo, neghiamo la nostra finitezza, diamo senso alle nostre paranoie, ci crediamo nel giusto su ogni processo. La polarizzazione tra noi e loro, buoni e cattivi, stranieri e autoctoni, civili e barbari sono forme di razionalizzazione della nostra dimensione inconscia. E ancora una volta, limitando la dimensione onirica ad ancella della veglia, facciamo un torto alla nostra umanità più vera
– Platone descrive il sogno come un momento in cui le parti inferiori dell’anima (quella irrazionale e desiderante) possono manifestarsi liberamente, senza il controllo della ragione. Il sogno è qualcosa di complesso che può anche contenere verità simboliche, accessibili attraverso la filosofia e l’interpretazione. E la mente razionale deve esercitare discernimento nel giudicare i sogni. Lei cosa ne pensa?
Platone è uno dei primi filosofi a comprendere che l’essere umano è diviso. Non è possibile trovare l’unità dell’anima senza una ricerca filosofica. Per il grande filosofo, il sogno, però, non ha una funzione divinatoria, egli rifugge alla credenza dei suoi contemporanei secondo cui il sogno esprime il volere degli dèi. Infatti, Platone è estremamente critico nei confronti della tragedia greca, dove le premonizioni delle divinità sono eventi continui e fanno spesso da “traino” narrativo nella storia.
Tuttavia, nella “Repubblica”, Platone affida a Socrate un discorso sul ruolo del sogno nella comunità dei filosofi. La città ideale, dice Socrate, è anche frutto di un sogno, non solo di una scelta ponderata, razionale. Quindi sembrerebbe esserci una distinzione tra il sogno del singolo, divinatorio per l’appunto e criticato da Platone e il sogno di una comunità di pensatori o di filosofi. Quest’ultimo, lungi dall’essere frutto di ispirazione divina, può rappresentare la possibilità di creare una città ideale e divenire strumento di comprensione dell’attività di una città stato.
La sua grande lezione è che uno Stato senza un sogno non può essere uno Stato. Oggi crediamo di poter fare a meno dei sogni, che la politica vera sia solo la Realpolitik, non esiste più il sogno per dirla con Platone o l’Utopia per dirla alla Bloch, che ci sprona a migliorare il presente per noi e per le generazioni future.
– Secondo lei, può il sogno essere considerato una via d’accesso al destino o alla verità, se persino figure come Alessandro Magno, Augusto e Giulio Cesare sembrano aver ricevuto attraverso di esso presagi della loro grandezza o delle proprie sconfitte?
Il sogno è sempre stato legato alla dimensione divinatoria, ma non credo che i grandi condottieri siano grandi persone. Quel piccolo progresso che c’è stato per l’umanità deriva più dagli artisti e dagli scienziati, i condottieri non mi affascinano. Credo, rifacendomi a Tolstoj in “Guerra e Pace”, che ai grandi condottieri sia stata attribuita a posteriori una visione o un sogno, per le loro vittorie, ma che quest’ultime fossero più il risultato del caso, o meglio una conseguenza della lotta di migliaia di uomini che combattevano per loro.
– E lei, nel definire la sua opera ‘Onirica’, intende il sogno come semplice ispirazione poetica o come un vero e proprio linguaggio capace di esprimere ciò che la realtà non può dire?
Il sogno è per me una forma di comunicazione intersoggettiva, nel senso che non solo il mio sogno comunica con il mio Io cosciente, ma comunica anche qualcosa a tutti gli altri esseri viventi, poiché, facciamo tutti parte della stessa realtà. Jung parlava di inconscio collettivo, Schopenhauer la chiamava Volontà di vivere, Leopardi Natura, gli scienziati la colgono nelle leggi fisiche e nel Big Bang, Eraclito lo chiamava Logos. Io preferisco utilizzare il temine Anima la realtà profonda che abbraccia tutti gli esseri viventi.
Il sogno, quindi è sia uno strumento dell’arte e della poetica, sia uno strumento di comunicazione, il problema non è se i sogni siano a non siano un linguaggio, lo sono sicuramente, il problema è la qualità dei sogni; se il sogno coincide e si esaurisce con la dimensione economica, materiale allora è poca cosa, è un sogno debole, evanescente che non può toccare profondamente la nostra psiche, né tantomeno quella collettiva.
– Passiamo all’aspetto musicale tout court. Quali sono in tal senso “le note” di Onirica?
In questo mio disco ho utilizzato la musica strumentale avvicinandomi a quello stile che viene definito neoclassico. A differenza però di molti autori, la mia è una forma compositiva che richiede una certa attenzione da parte dell’ascoltatore, poiché il discorso musicale è legato molto più alla melodia che alla ripetizione e alle progressione armoniche nei brani. Uso spesso anche un po’ di elettronica e non “disdegno” l’uso di basso e percussioni, proprio perché non voglio limitarmi a forme stilistiche precise.
È importante che ogni pezzo abbia una sua caratteristica, una sua cifra stilistica. Certo se un ascoltatore volesse in dieci secondi afferrare il senso della composizione rimarrà deluso, tutto si spiega alla fine.
Del resto, ho sempre avuto difficoltà a seguire un genere specifico a rientrare nei canoni delle playlist.
– Quali elementi musicali o compositivi ha scelto per evocare la dimensione del sogno? E in che modo ha cercato di tradurre l’irrazionale e il simbolico in suono?
Ci sono molti autori che raccontano di aver tratto ispirazione dai sogni, Jimmy Hendrix ad esempio, Sting, altri invece, come John Lennon e Roger Waters che hanno messo in musica anche i propri incubi.
Le mie non sono propriamente delle canzoni, si ispirano, invece ai cicli compositivi come quelli di autori come Debussy, Satie o ai Phantasiestücke di Schumann, dove i brani fluiscono l’uno nell’altro, come sogni che si susseguono nella stessa notte; appartengono allo stesso flusso inconscio, ma si differenziano.
Mi piacerebbe che, anche nell’epoca del digitale, la musica si ascoltasse attraverso l’album, lo so che è difficile, ma sognarlo non è un delitto.
– Infine, riguardo i singoli brani cosa può dirci?
I sette brani sono caratterizzati da emozioni diverse, si parte da “Red Balloon”, che è la trasposizione in musica di un sogno che ho realmente fatto, a citazioni colte di alcuni artisti come Paul Klee per “Heroic Roses”. “Playing Card” è invece un brano nato per chitarra classica solista, una sorta di valzer lento che ripercorre alcuni temi a me cari, come quelli della fantasia e dell’assurdo.
Il “Vecchio Alchimista” è il pezzo più antico, l’ho scritto diversi anni fa e lasciato nel cassetto in attesa che maturasse. Un posto particolare ha “Every Dream You Can Image” che è il proseguimento ideale di un pezzo scritto per il disco “Pablo” dove, parlando di Picasso raccontavo proprio del potere che dovrebbe avere la fantasia nella nostra vita quotidiana. È una progressione che nella versione di oggi sa un po’ di colonna sonora del film muto.
In “The Poetry Of The Kiss”, dove il dialogo tra chitarra e violino si fa un po’ più serrato, ho dato sfogo alla mia natura romantica, il tema del bacio, d’altronde, è un grande classico dell’arte.
In generale, pur essendo un ciclo che ripercorre una forma melodica classica, “Onirica” vuole essere da stimolo per l’ascoltatore, vorrebbe spingerlo ad entrare nella dimensione dei sogni.