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Amore e Conoscere

“L’uomo, se ama, tutto vedendo e tutto illuminando, è un sole; se non ama, è un’oscura abitazione dove arde una misera minuscola lampada” (Friedrich Hölderlin)

“Solo l’amare, solo il conoscere conta”. 

Pier Paolo Pasolini affidò a queste parole il primo verso di una splendida poesia, si intitola Il pianto della scavatrice ed è la pietra miliare della raccolta Le ceneri di Gramsci.

Perché Pasolini?

Semplicemente perché è stato un grande poeta - Alberto Moravia lo gridò il giorno del suo funerale - tra i maggiori del Novecento. E come tutti gli artisti autentici ha segnato l’epoca in cui visse, è riuscito a conoscere attraverso l’amore e ha saputo amare mediante la conoscenza.

Il titolo del saggio implica una fedeltà assoluta all’arte e non consente intromissioni di carattere politico o sociale, anche se l’amare e il conoscere hanno una influenza indiretta sulla realtà. Il Pasolini dissenziente lo conosciamo, la contrapposizione alla morale cristiana, il dito affilato puntato sulle evoluzioni/involuzioni delle masse, la definizione di società dei consumile traversie della sua esistenza e le sfaccettature del suo multiforme ingegno. Attraverso gli occhi del poeta conosciamo la Roma povera ma dignitosa degli anni cinquanta, l’odore acre delle sue strade, le borgate fatte di lamiera e fango, gli schiamazzi, la genuinità dei semianalfabeti che tanto amava e che per lui erano ragazzi di vita, di una vita spesso violenta.

Ne Il pianto della scavatrice vi è questo e molto altro, soprattutto quell’amare svincolato da categorie e tassonomie che chiudono l’individuo in una prigione asfittica. Nell’antichità, nella culla della civiltà greca, Platone fece dell’amore come conoscenza l’argomento di un celebre dialogo, il Simposio. Come usava all’epoca il clima di questo dialogo è quello festoso di una cena fra intellettuali, amici e discepoli di Socrate.

Si discetta dell’amore celeste e volgare, amore come composizione armonica degli opposti, come ardore di educazione, come principio ispiratore delle arti e delle scienze. Ma l’approdo più alto è nelle parole di Socrate. Amore è una sorta di demone, nato dalle nozze di Ingegno e Povertà. E’ bisogno e inquietudine, desiderio e tensione inesausta, attrazione per le belle forme sensibili. E’ impulso elementare e cosmico che culmina nella filosofia, che è amore di sapienza e verità.

Aristotele nella sua Poetica collocò la poesia, come forma d’arte, al di sopra della storia. La storia narra il contingente e il particolare, la poesia ci parla dell’universale e dell’assoluto. La profonda brevità della poesia si fa veicolo d’amore e di conoscenza, l’intero ventaglio dei sentimenti umani vi è dispiegato.

Nella Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino - che risente grandemente del pensiero aristotelico, come tutta la filosofia medioevale - si afferma che alla conoscenza si arriva solo attraverso l’amore e non il contrario. Tommaso d’Aquino ci dice che è l’effetto svelante e schiudente dell’amore che consente la comprensione delle cose, del mondo e dell’altro. La relazione tra conoscenza e amore si identifica anche nella Commedia di Dante, forse non vi è testimonianza poetico/letteraria più grande e meravigliosa. Tutto il poema è intriso d’amore, di quello che si prova soltanto lontano dalla carnalità, trascendendola e allo stesso tempo facendone parte. Nel V Canto dell’Inferno vi è l’esempio perspicuo di come l’amore possa tramutarsi in violenza inaudita attraverso la gelosia.

Paolo Malatesta e Francesca da Rimini condannati tra i lussuriosi, “Che la ragion sommettono al talento”, si amarono alle spalle di Gianciotto Malatesta signore di Rimini. Egli scoprì il tradimento e ambedue vennero uccisi.

Il Canto XXVI dell’Inferno è quello di Ulisse, ma è anche quello della conoscenza. Ulisse è l’emblema della ricerca inesausta, della ripartenza continua per soddisfare la brama di conoscenza che spinge l’uomo oltre ogni limite. Le colonne d’Ercole rappresentano quel limite, oltre il quale vi è la morte. Ulisse per convincere i suoi compagni all’ennesima avventura usò queste parole: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Con questa affermazione Ulisse fa appello alla dignità umana: l’origine (la semenza) dell’uomo, il valore della vita che distanzia all’infinito l’uomo dal bruto, il vertice spirituale dell’esistenza: il bene morale (virtute), e quello dell’intelletto: la scienza (canoscenza).

Per concludere vorrei menzionare un libro molto interessante di Edoardo Boncinelli (Genetista e professore di Biologia e Genetica presso l’Università San Raffaele di Milano), il quale riflette sulla conoscenza e sull’importanza del sapere; si intitola Noi siamo cultura. Il professor Boncinelli guarda alla natura umana, alla sua origine, e arriva ad affermare che possiamo rinunciare a tutto tranne che alla conoscenza. Perché è la nostra ricchezza più grande, l’unica eredità che conta e non perde mai valore. Conoscere significa interiorizzare la civiltà, che non si trasmette biologicamente ma solo culturalmente. In questo saggio potrete trovare la conciliazione tra sapere scientifico e sapere umanistico, che in egual misura contribuiscono allo sforzo collettivo di interpretare la realtà, fornendoci al tempo stesso gli strumenti per comprenderla. È un richiamo a conferire un senso alla nostra libertà e un invito a coltivare l’umano bisogno di trasmetterla.

Giuseppe Cetorelli