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Realtà Virtuale curativa

La virtual reality ha trovato applicazione, in ambito medico, in particolar modo nel campo della riabilitazione motoria e cognitiva conseguente a ictus, ischemia e infarto, nonché in quello della cura del morbo di Parkinson, dell’Alzheimer, dell’ansia, del disturbo post traumatico da stress, delle fobie, dell’anoressia nervosa e della bulimia

Credere di trovarsi su una spiaggia caraibica a praticare meditazione o a bordo di un elicottero a sorvolare i ghiacci dell’Artico o per le strade di New York, intenti a dar da mangiare a gattini affamati, e trovarsi, invece, in un ospedale o in un ambulatorio medico o nello studio di un terapeuta: miracoli della tecnologia e, più precisamente, della VR, meglio conosciuta come realtà virtuale.

Grazie a essa, negli ultimi anni è stato possibile trattare alcuni disturbi cognitivi, motori e psicologici in maniera efficace, non invasiva e, soprattutto, priva di effetti collaterali (fatta eccezione per il leggero senso di mal di testa e di nausea che accusa una minoranza di pazienti).

La virtual reality ha trovato applicazione, in ambito medico, in particolar modo nel campo della riabilitazione motoria e cognitiva conseguente a ictus, ischemia e infarto, nonché in quello della cura del morbo di Parkinson, dell’Alzheimer, dell’ansia, del disturbo post traumatico da stress, delle fobie, dell’anoressia nervosa e della bulimia.

Il suo funzionamento è abbastanza semplice: al paziente vengono fatti indossare dei semplici visori, sotto forma di occhiali, attraverso i quali vengono simulati degli scenari “ad hoc” estremamente realistici, che gli permettono di vivere un’esperienza totalmente o parzialmente immersiva; in questo modo si cerca di promuovere, gradatamente, l’esercizio delle funzioni compromesse oppure, se si stanno trattando disturbi di ordine psicologico, si tenta di far superare il trauma, al soggetto in cura, attraverso la tecnica dell’esposizione, che consiste proprio nel far rivivere, anziché nel rievocare, la situazione traumatica vissuta.

A portare la cyberterapia in Italia, negli anni ’90, è stato il professor Giuseppe Riva, docente presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, uno dei primi italiani ad occuparsi delle applicazioni mediche della VR.

Oltre che nella cura di alcune patologie di ordine psicologico e neurologico e nel campo della riabilitazione, la realtà virtuale risulta poi essere particolarmente utile nella terapia del dolore: da diversi studi è emerso come l’immersione in una VR sia in grado di ridurre del 25% il dolore, al pari di quanto avviene con la somministrazione di antidolorifici anche molto forti (oppiacei inclusi); buoni risultati si sono ottenuti anche con l’impiego della realtà virtuale nella lotta contro le dipendenze da alcool e droga.

Ulteriori applicazioni della virtual reality riguardano l’ambito formativo-educativo, in quanto la stessa consente, ad esempio, di simulare interventi chirurgici complessi e di addestrare individui che si troveranno ad operare in contesti di emergenza.

Ingannare il cervello a fin di bene: questo permette di fare la realtà virtuale, le cui potenzialità vanno, pertanto, ben oltre il carattere ludico che si è soliti ad associarle.

Un’ulteriore riprova del fatto che, ultimamente, medicina e hi tech sembrano andare sempre di più di pari passo.

Dalila Giglio