Introduzione
Matteo Oleotto prima di diventare regista ha lavorato come telefonista in un call-center, come bagnino, in una ditta di traslochi, in un autolavaggio, come operaio in una ditta di microcomponenti, e tra varie altre cose come assistente notturno di un ospedale psichiatrico. Si è poi diplomato come attore all’Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine e poi come regista al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Istruzioni per l’uso di questo breve scritto
A. Dare uno sguardo alle 3 premesse.
B. Se è possibile, cortesemente vedere il film.
C. Se ancora interessa, leggere il resto (e magari rileggere con più attenzione le 3 premesse).
D. Qui sotto c’è spazio per i vostri commenti. Dai… basta compilare il modulo!
Prima Premessa
scémo: agg. e s.m. (f. -a) [der. di scemare, propr. part. pass. senza suffisso; ma col sign. 1, semus è già presente nel lat. mediev. (sec. 13°)]. –
1. aggettivo:
a. Scemato, non pieno, non intero: il fiasco è un po’ scemo; la luna è già scema; m’accorsi che ’l monte era scemo (Dante), incavato a modo di valle; arco scemo, arco a sesto ribassato (v. arco, n. 4). Fig.: investigatore… di chi scemo nella fede sentisse (Boccaccio), non pienamente credente, eretico.
b. ant. o letter. Mancante, privo: Ma Virgilio n’avea lasciati scemi Di sé (Dante); Festi, barbar crudel, del capo scemo Il più ardito garzon (Ariosto); le voglie indegne, E di nervi e di polpe Scemo il valor natio, son vostre colpe? (Leopardi); lunga vita Vivrò scema di affanni (Giusti).
2. più comune:
di persona; scarso d’intelligenza.
Seconda Premessa
Hans Asperger chiamò i suoi pazienti “piccoli professori”, basandosi sull’idea che bambini o persone poco più che adolescenti potevano avere un bagaglio di conoscenze nei loro campi d’interesse (fossero pure il canto o il gioco delle freccette) pari, se non superiori, a quello dei professori universitari. Questo perché gli individui con Sindrome d’Asperger hanno un’intelligenza nella norma se non superiore, a scapito però di una capacità d’interazione sociale nettamente inferiore e ben più problematica. L’alienazione sociale delle persone con la sindrome di Asperger è così intensa fin dall’infanzia che molti si creano amici immaginari per compagnia. Ciò può condurre all’acquisizione di elevatissime capacità (nel campo tecnico-informatico, nella creazione di giochi di ruolo, nelle attività astratte logico-matematiche, nell’intuito musicale).
L’intensa attenzione e la tendenza a cercare di capire logicamente le cose può sì garantire alle persone con Sindrome d’Asperger un alto livello di abilità nei loro campi d’interesse specifico, ma al prezzo di grandi difficoltà nella comunicazione e nel farsi comprendere dal “mondo sociale”.
Gli individui portatori di questa sindrome (la cui eziologia è ignota) presentano quindi una persistente compromissione delle interazioni con gli altri, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, e hanno un linguaggio buono superficialmente, ma formale/ampolloso/pedante e difficoltà ad afferrare un senso diverso oltre quello letterale. Diversamente dall’autismo classico, non si verificano significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o dello sviluppo cognitivo.
Terza Premessa
Il termine “borderline” ha una lunga storia. A partire dal XVIII secolo, un ristretto numero di medici iniziò a studiare i pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici, scoprendo che alcuni di questi non avevano assolutamente perso la capacità di ragionare. Seppure in grado di distinguere cosa fosse reale da cose non lo fosse, soffrivano tuttavia terribilmente per tormenti emotivi causati dall’impulsività e dalla rabbia, oltre che per una complessiva difficoltà nella gestione di sé. Sembravano vivere in una zona di confine (“borderline”, appunto) tra la follia e la normalità. Per tutto il secolo successivo questi soggetti, che non erano né folli né sani mentalmente, continuarono a mettere in difficoltà gli psichiatri. Era in questa “zona di confine” che la società e gli psichiatri avevano collocato alcuni criminali, gli etilisti, le persone instabili emotivamente e imprevedibili nel comportamento, allo scopo di separarli da un lato da quelli con patologie psichiatriche chiaramente definite (ad esempio quelli che poi verranno definiti come schizofrenici e maniaco depressivi o con disturbo bipolare), e dall’altro dalle persone “normali”.
Breve Recensione
La storia, molto apprezzata alla settimana della critica a Venezia, si svolge in un piccolo centro vicino Gorizia, nel nord-est italiano al confine con la Slovenia. In questa terra, incrocio di lingue e tradizioni differenti si barcamena Paolo Bressan (Giuseppe Battiston), un quarantenne che lavora di malavoglia in una mensa per anziani e insegue senza successo l’idea di riconquistare la sua ex moglie.
Battiston è impulsivo, collerico ma anche grosso, ingombrante, al punto che si viene talora investiti dalla fisicità di quest’anima in pena che beve senza respirare. Un giorno gli arriva una “eredità” inaspettata da una zia slovena, deceduta nel frattempo a sua insaputa: riceve non denaro, bensì un nipote sedicenne in affidamento, Zoran (Rok Prasnikar), che dovrebbe ospitare per i giorni necessari al suo inserimento in una casa famiglia. Essere zio non lo alletta, ma quando si accorge che il timido e impacciato Zoran è portentosamente bravo nel gioco delle freccette, pensa di farlo partecipare ai campionati mondiali, che hanno un ricco montepremi.
Questa è una commedia delicata, senza forza d’urto: il vino e l’animo umano devono essere trattati con il garbo necessario. E’ un film che mira anche a mettere in scena un contesto quasi mai raccontato (la provincia friulana) e i rapporti inconsueti che intrattiene con la limitrofa Slovenia. Ed è un film sui rapporti umani. Tutti questi argomenti Oleotto e gli altri sceneggiatori li conoscono piuttosto bene.
Epilogo
Tra confini geografici e psicopatologie di confine, un sogno la cui realizzazione è a portata di mano, che sembra essere l’elemento distintivo del film, non ne diventa il cardine assoluto. Del resto il triplo 20 vale 60 punti, quindi non è (sempre) vero che bisogna mirare al centro, perché il centro che vale di più (talora) è altrove.
Massimo Lanzaro