L’esordio al cinema di Emma Dante, autrice anche dell’omonimo romanzo e “signora” di teatro, è dirompente e straordinario nella sua semplicità. Emma Dante è riuscita a coniugare la forza delle immagini con il potere catartico e terapeutico dell’antica tragedia greca.
Il film è stato presentato in concorso alla 70ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, raccogliendo il Premio Coppa Volpi per la Migliore interpretazione femminile assegnato all’attrice Elena Cotta.
Due donne s’incontrano “muso contro muso” con la macchina in una piccola e desolata strada della Palermo periferica. Nessuna delle due è disposta a cedere il passo e a fare retromarcia. Samira (Elena Cotta), una donna anziana e vestita di nero per la morte della figlia, e Rosa (Emma Dante), una quarantenne scappata dal capoluogo siculo e dalla sua famiglia, si aggrappano entrambe al volante con l’intento di proseguire in avanti perché è l’unico senso che le donne conoscono. Nella loro testa non è contemplato il retrocedere. Tornare indietro fa male; è insopportabile e chissà quante volte è successo: per paura, per assecondare gli altri, per necessità, per un’antica fragilità, per nascondersi da se stessi… Ora, entrambe sanno che è giunta l’ora di oltrepassare. Entrambe affronteranno la parte oscura di loro stesse. C’è una forte dimensione dionisiaca in questa vicenda che è quella di guardare e gettarsi nell’abisso, confrontarsi con l’orrore senza esserne piegati, accettandolo e dichiarando sì alla vita, paradossalmente nella rinuncia a essa.
Interessante vedere come l’universo maschile si affanna e si adopera nel poter trarre beneficio, ma il fulcro decisivo sono le due donne contenziose, chiuse nel loro abitacolo, che si scrutano vicendevolmente. All’inizio si guardano con sfida e carica emotiva, poi nasce la curiosità e dopo, inaspettatamente, un sentimento quasi amorevole e di stima reciproca. Meritevole la scena in cui Rosa cerca di svegliare Samira accendendo e spegnendo i fari della sua automobile, preoccupandosi per lei. Quest’ultimo è un dettaglio molto importante che ha il sapore di un antico codice di comportamento nell’arte della guerra.
C’è un senso dell’assoluto in questi personaggi che trascende il transitorio e ci fa vedere oltre, nelle nostre vite… nel nostro Paese. I personaggi sono indifferenti a tutte le distrazioni che si muovono intorno, anzi, ce li fanno vedere chiaramente come tali, tant’è la forza centripeta dello stare lì bloccate in una viuzza trasformata in un vero e proprio ombelico del mondo. E’ strano assimilare quanto il senso comune del vivere, nell’esistenza di queste donne, appaia come un misero sopravvivere.
I tempi sono maturi per affrontare e integrare il Minotauro a vantaggio di una consapevolezza più autentica dell’esistenza. E così, Via Castellana Bandiera diviene una torretta di osservazione del mondo, uno stato dell’essere che ha superato il trauma e riprende con sé il punto di vista delle “stelle”.
Fortunata Grillo