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Tutti pazzi per “The Get Down”, la nuova serie in onda su Netflix – trailer e recensione

Abbiamo guardato The Get Down, la nuova serie appena uscita su Netflix. Ecco la recensione di Francesca Raviola.

Si sa, quando si sente il nome di un grande regista, il rischio è sempre molto alto. Perché inevitabilmente si creano grandi aspettative, e la paura di vederle deluse è tanta. Non è stato così per The Get Down, una nuova serie di Netflix ideata da Baz Luhrmann, regista di Moulin Rouge, Romeo + Juliet e Il grande Gatsby.

La prima parte, composta di sei episodi, è uscita il 12 agosto; per la seconda ancora non c’è una data. Come in tutti i lavori di Luhrmann, il ritmo è frenetico e folle. Ma la vera protagonista è senza dubbio la musica, con una colonna sonora incredibile che scatena un’irrefrenabile voglia di ballare.

Siamo a New York nel 1977, precisamente nel Bronx. La disco music è il genere del momento, ma un nuovo tipo di musica sta prendendo piede: l’hip hop. Ezekiel è un bravo studente, anche se l’ambiente in cui è cresciuto non gli riserva molte prospettive. La sua vita cambia quando incontra Shaolin Fantastic, un aspirante DJ, pupillo del famoso Grandmaster Flash, che lo fa diventare il suo personale MC (“maestro di cerimonie”) o paroliere. Oggi diremmo rapper. Insieme a Ezekiel, arrivano Dizzee, Ra-Ra e Boo-Boo, suoi amici di una vita, suoi fratelli: la sua crew.

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Dall’altra parte c’è Mylene, giovane cantante con il sogno di sfondare nella disco music, per diventare una star e lasciarsi il Bronx, e la chiesa in cui canta, alle spalle. Ma suo padre è un pastore, e molto severo, e fa di tutto per impedirle di cantare la “musica del diavolo”. Sarà aiutata dallo zio, Papa Fuerte, come viene chiamato nel quartiere, ricco imprenditore che porta avanti la sua attività con affari più o meno legali e che coltiva il sogno di innalzare il Bronx dalla miseria in cui i suoi abitanti vivono.

Ezekiel e Mylene sono cresciuti insieme, e si sono innamorati. Sognano insieme di abbandonare la povertà per vivere una vita migliore, per cambiare le cose, per non essere costretti a diventare quello che la società si aspetta da loro.

La storia è piena di colpi di scena e i protagonisti si muovono fra gang criminali, interessi politici, rivoluzioni culturali. Ma ci sono anche molti rimandi alla storia di New York, come il lungo black-out che lasciò la città senza corrente per tre giorni, al termine dei quali si dovette fare la conta dei danni causati dai saccheggi e dagli incendi.

Il grande pregio di questa serie è raccontare a chi non l’ha vissuto l’avvento della musica e della cultura hip hop. Sta proprio in questo il fascino di The Get Down, che fa capire da quale spasmodico bisogno di vendetta contro una realtà ingiusta sia nato questo tipo di musica. Oggi quel significato sembra essere andato perso. Ormai si è abituati a vedere rapper multimilionari, che ostentano la loro ricchezza in video musicali pieni di yatch, gioielli, donne. Il pubblico allora si dimentica che l’hip hop è nato in strada, dalla disperazione; che i graffiti erano una forma di protesta contro un potere che non lasciava spazio a chi viveva ai margini della società.

Questa serie ti tiene incollato allo schermo per molti motivi: perché ci si affeziona velocemente ai personaggi, perché il contesto culturale in cui è ambientata è più che affascinante, perché la ricostruzione storica è estremamente efficace. Ma soprattutto per la musica, incredibile protagonista. E allora non ci resta che aspettare la seconda parte, per scoprire quanto lontano riusciranno ad arrivare Mylene, Ezekiel e la sua crew.

La recensione è di Francesca Raviola