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The Congress

Ari Folman dirige Robin Wright nei panni di sé stessa

Chi non sa chi è Ari Folman dovrebbe semplicemente, sulla base di queste umili righe, correre a vedere quel piccolo gioiello che è “Valzer con Bashir” (in inglese: Waltz with Bashir).

Questo sorprendente film d’animazione narrava i conflitti che coinvolsero il Libano nei primi anni ottanta e il noto massacro di Sabra e Shatila del 1982. Il titolo del film si riferisce alla “danza” di un soldato, che spara all’impazzata con il suo mitra sotto un poster di Bashir Gemayel, politico libanese ucciso nel 1982. E’ stato presentato in concorso al 61º Festival di Cannes, ha vinto il Golden Globe 2009 per il miglior film straniero.

Veniamo a noi.

The Congress, invece, è un film del 2013 basato sul romanzo di Stanisław Lem “Il congresso di futurologia”.

Il film viene presentato in anteprima alla 66ª edizione del Festival di Cannes il 16 maggio 2013, come film d’apertura della Quinzaine des réalisateurs. Successivamente verrà distribuito nelle sale cinematografiche francesi il 3 luglio 2013 ed in quelle italiane uscirà il 12 giugno 2014.

Protagonista del film Robin Wright, che interpreta una versione fittizia di sé stessa. Attrice ormai in declino (non lo è nella realtà: vi dice niente “House of Cards”?) e con un figlio affetto da una rara patologia genetica e congenita associata ad una graduale perdita della vista, la Wright si impegna a cedere in toto i diritti di sfruttamento della propria immagine ad uno studio cinematografico: verrà scannerizzata nel corpo e nelle emozioni per dar vita ad un’attrice digitale per sempre trentenne. Lei non potrà quindi recitare mai più e lo studio potrà utilizzare la nuova attrice virtuale in qualsiasi modo ritenga opportuno (“Mentre a Los Angeles cercavo una location adatta a girare la scena della scansione – dice Folman -, sono rimasto scioccato quando ho saputo che una stanza di quel tipo esisteva già”).

Il contratto ha validità per 20 anni. Passato questo arco di tempo l’attrice reale si troverà, ormai sessantenne, a dover fare i conti con la nuova era dove il virtuale ha preso il sopravvento. “Essendo un ottimista, credo che la scelta di attori in carne ed ossa prevarrà e spero che ‘The Congress’ fornisca un piccolo contributo nel raggiungimento di tale obiettivo” ha anche detto il regista. E fin qui tutto bene.

Ci si interroga sulla natura della celebrità, c’è l’elemento di ricerca nei meandri del binomio attore-persona, addirittura il cosiddetto contrasto pirandelliano tra vita e forma, viene fanta-futuristicamente risolto in quanto scisso, inscatolato, venduto e alfine lisergizzato!

Poi però c’è la parte animata. E si insinua leggera l’idea che Folman abbia messo troppa carne a fuoco, come direbbero gli americani: “he bit off more than he could chew”. Diventa un po’ lento e iperinclusivo. Lo spettatore è catapultato in un oniroide mondo animato dove la chimica fa da padrona: non esistono tanti film di cui tanti hanno memoria, ma esistono tante storie di finzione per quante persone esistono e, per di più, queste non sono condivisibili. Ognuno si costruisce la propria storia in un disperato bisogno di autodeterminazione.

Qui il film sembra lasciare la riflessione e l’attacco all’industria del cinema hollywoodiano per spostarsi su tematiche coerenti con tesi cospirazioniste, stile Matrix. Lo studio cinematografico si è fuso con una casa farmaceutica – diventando la Miramount-Nagasaki (sic) – per creare una formula chimica e vendere al pubblico l'”essenza” degli attori. Nonostante le tante citazioni gustose e l’idea estremamente coraggiosa e a causa forse delle lacune di sceneggiatura (volute?) mi è un po’ difficile pensare convinto di aver assistito all’opera di un genio.

Massimo Lanzaro