La trasposizione cinematografica, abbastanza inevitabile (e c’è da stupirsi che non sia capitato prima, in questi undici anni dalla sua scoperta nel 2004) di Suite francese consacra definitivamente la figura letteraria e reale di Irène Némirovsky, autrice di grandissimo talento, dal tragico destino e dall’insolita riscoperta.
Come ricordano le didascalie alla fine del buon adattamento di Saul Dibb, autore di un’altra storia al femminile ma molto diversa con La duchessa, il manoscritto di Suite francese fu lasciato incompleto dall’autrice, nota comunque già dagli anni Trenta, in una valigia, prima del suo arresto, internamento e morte ad Auschwitz, e fu ritrovato all’inizio del nuovo millennio dalle figlie, ormai anziane. Una vittoria su morte e orrore, quindi, per un libro che ha goduto negli anni di varie edizioni ed è diventato amatissimo in tutto il mondo, facendo scoprire e riscoprire gli altri romanzi dell’autrice, impareggiabile narratrice di storie al femminile non certo banali contemporanee per lei.
Suite francese film, tratto quindi dal best-seller con la storia più originale e commovente di sempre, vuole proporre e cristallizzare su grande schermo la grandezza di un’autrice e della sua storia, che traccia un ritratto impietoso e realistico della Francia sotto l’occupazione, attraverso il paesino di Bussy e portando in immagini solo una parte di quella che è e doveva essere un’ampia commedia umana sotto l’Occupazione nazista. La storia raccontata è quella di Lucille, moglie di un francese prigioniero del nemico, di cui scoprirà nel corso del film bugie e tradimenti, che vive in provincia con la suocera arcigna e che si trova a dover ospitare in casa un militare tedesco, con cui scoprirà affinità e passione. Ma la guerra e la situazione contingente saranno più forti di tutto.
I film storici ambientati durante la Seconda guerra mondiale tornano periodicamente al cinema, magari svelando lati nuovi e poco frequentati: in Suite francese si parla, coerentemente con il libro, della situazione della Francia sotto i tedeschi, tabù per decenni e ancora oggi oggetto di reticenze e poca informazione, visto che oltralpe si salì sul carro del vincitore solo alla fine, grazie a De Gaulle e all’opera dei partigiani. Tra le righe racconta il rapporto, non necessariamente ostile, tra la popolazione civile e i soldati, soprattutto per quello che riguarda le donne e le ragazze, a volte vittime di prevaricazione, come la contadina Madeline, e a volte in cerca di amore e considerazione, anche solo sessuale, come la giovane Celine, comportamenti che furono pesantemente sanzionati poi dopo la Liberazione e di cui non si volle più parlare. Come si dimenticarono le lettere diffamatorie e denunciatorie di comportamenti considerati moralmente sbagliati e puniti dall’invasore, o verso ebrei e oppositori politici, che portarono a vere e proprie tragedie.
Quindi Suite francese film, come già il libro, racconta cosa vuol dire vivere la vita di tutti i giorni con il nemico in casa, un nemico che crea disagio, paura, rabbia ma che in qualche caso forse impari anche a conoscere e a non vedere sempre come un mostro, come capita a Lucile, sposa infelice e abbandonata, con aspirazioni musicali e artistiche, che nell’ufficiale Bruno von Falk trova un’anima affine, una passione ma anche la consapevolezza che tutto questo è impossibile, in un finale aggiunto un po’ posticcio al film rispetto al romanzo.
Un film interessante, che invoglia a leggere o rileggere il romanzo, che si conclude con un doveroso omaggio a Irène Némirovsky, con un cast in cui spiccano Michelle Williams, ex diva per adolescenti diventata brava interprete, e la ormai veterana Kristin Scott Thomas, due donne che cercano, ognuna a loro modo, di rimanere fedeli a loro stesse, mentre la guerra le cambia non per forza di cose peggiorandole ma facendo loro scoprire una nuova umanità. E forse il messaggio alla fine di Irène Némirovsky era ed è questo, trovare umanità dentro ed intorno a sé, partendo da ideali e passioni.
Elena Romanello