Cinema ENTERTAINMENT

Senectus Ipsa Morbus

La prima regia di Rosa Maietta

Per quel che ne so Rosa Maietta, classe 1990, coltiva la passione per il cinema da autodidatta.

Questa è la sua prima regia: “Senectus Ipsa Morbus”, anno 2013. Riceve una menzione speciale da parte della giuria tecnica del II Videomaker Film Festival di Casalnuovo di Napoli e giunge finalista al concorso Schermo Napoli 2013, nell’ambito del Napoli Film Festival, ed è finalista nella sezione Une Certaine Tendance del Festival “I 400 Corti” di Palestrina (RM).

Il clip e’ stato selezionato per essere proiettato a dicembre 2013 nell’ambito della rassegna americana 41° Parallelo, presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University.

“La vecchiaia è di per sé una malattia”, affermava il commediografo Terenzio. “Infatti è una malattia da cui non si può guarire”, aggiungeva Seneca.

Potrei cominciare così, vediamo un pò. Vorrei scrivere una recensione “di getto” e mi chiedo di cosa tratti questo short e perché risuona alquanto favorevolmente. Comincio dalle parole di James Hillman: “L’essere della vecchiaia è la rivelazione dell’essenza del fenomeno, qualunque esso sia. Di un albero non si può dire che cos’è o sarà finché non lo vediamo completo, vecchio, contorto nella sua forma. La vecchiaia è la manifestazione suprema del carattere e in questo senso è la manifestazione piena dell’essenza”. Ma forse non c’entra. Forse c’è un tentativo amaro di satira: da sempre la satira spoglia il potente della dignità che gli proviene dal potere per ridurlo alle sue miserie umane, che includono la caducità del corpo. No. Non mi sembra. Questo video tratta di media, consumismo, manipolazione, case farmaceutiche e pubblicità ingannevole. Nemmeno? Ci sono: è ispirato al “posto delle fragole” Bergman. Chi ha dimenticato in il professor Borg che sogna dell’orologio senza lancette, dell’incontro con l’uomo senza volto, del cadavere di se stesso? Poi mi arrendo a questo pindarico flusso di pensieri. E ho come la sensazione che mi sfugga qualcosa.

Allora chiedo alla diretta interessata. “L’idea nacque da un’esperienza che ho vissuto in prima persona con quest’anziana realmente malata, affetta da Alzheimer, e in quel periodo stavo studiando Seneca, e mi trovai di fronte alla frase che poi è diventata il titolo, che in tre parole riassumeva quello su cui stavo riflettendo. Com’è evidente, ho voluto raccontare attraverso inquadrature oggettive e soggettive, soprattutto con i dettagli della persona, che comunicano molto più di quanto avrebbero potuto comunicare dialoghi vari ed eventuali. E soprattutto mi sono interrogata su ciò che può provare una persona in quello stato, qualcosa che nessuno può capire né raccontare, perché chiunque vive quello stato non torna indietro. Quindi ho usato il carillon per la regressione, per il ritorno a quella condizione di “non vita” di cui non so fino a che punto possa essere consapevole la persona che vi si trova, un po’ come i primi attimi della vita, dei quali non abbiamo memoria, ma che forse inconsciamente risiedono per sempre in noi. Ma non solo ciclicità (evidenziata anche dal fatto che il corto finisce così come comincia), soprattutto malattia, che non è l’Alzheimer o la demenza, ma è la vecchiaia per se stessa. Il tema fondamentale e originario è la vita che talvolta finisce ancor prima della morte. Ma questa potrebbe essere una definizione azzardata, se poi ci caliamo nello sguardo della persona, così profondo e loquace, così vivo ancora, nonostante tutto, uno sguardo che in effetti continua a cercare qualcuno o qualcosa. E come contorno c’è il fatto che si può essere lasciati soli (l’unico compagno permanente è quel televisore che continua a blaterare soffocandoci con notizie malate – torna la malattia e si spiegano i politici nel finale). Tutto raccontato attraverso suoni e colori, che offrono i due punti di vista narratori”.

Massimo Lanzaro