Non amo lo swing mi fa pensare troppo ai locali d’azzardo di Atlantic City. Pensare a Fabrizio Bosso in versione prima tromba per una serata Ellington mi aveva dato una strana sensazione. Ma è stato un bene perché mi piace di più quando le aspettative vengono superate. Come dire, è meglio partire bassi.
Così alle nove, al parco della musica nella sala Sinopoli, strapiena per l’occasione, Suonano la Paolo Silvestri Ensamble e Fabrizio Bosso 4tet in un omaggio a Duke Ellington.
La novità?
E’ il primo Jazz Festival a Roma, con un tema improntato sullo swing, ma per quanto ricordo Bosso e il suo 4tet suonano moderno. E’ anomalo in questo contesto. Comunque, fiduciosi noi aspettiamo l’attacco. Paolo Silvestri impeccabile dirige un’ensamble di fiati assolutamente grandiosa. Ci sono: Claudio Corvini e Fernando Brusco alle trombe, un esuberante e preciso – come un rolex da profondità – Mario Corvini al Trombone. Gianni Oddi sax alto, Michele Polga sax tenore e Marco Guidotti sax baritono.
Gli arrangiamenti sono tutti piegati alla seconda parte di Ellington, dai più classici delle big band swing al Duca con Max Roach. Ripercorrono una buona parte degli standard ma con un tocco freddo. Lo si capisce dall’attacco quando il piano di Julian Mazzariello tenta subito delle dissonanze in stile, con l’armonica molto pulita i tocchi chiari e la sordina solo per brevi tratti. Al bravo contrabbasso, Luca Alemanno – ineccepibile nello stile e nella grinta – mancano cinquanta chili e il colore nero, per arrivare a Charles Mingus.
Nicola Angelucci si prodiga alla batteria con troppo rock, neanche negli assolo molla, ricordando più Jon Hiseman dei Colosseum che il Max Roach… ai tempi, forse, così voleva Silvestri? Su tutti svetta oramai su un altro pianeta – strepitoso – Fabrizio Bosso, che ha acquisito una padronanza dello strumento da poter gareggiare a distanza con i maestri a cui fa il verso: Gillespie e Coltrane, anche sui loro cavalli di battaglia più ostici.
Applausi a scena aperta, anche quando si concede una pausa. Tanto da vedersi costretto al quinto brano dopo un “C jam session” – davvero bellissima ed applaudita per due minuti – a fermarsi e ringraziare al microfono la platea: “Grazie, siete veramente tanti per un concerto di jazz, non me l’aspettavo”.
Paolo Silvestri, dal suo, ha organizzato bene la sessione fiati che monolitica non sbaglia un colpo. Rende nuovi anche gli standard, e dove i passaggi passano al free del quartetto di Bosso, li lascia in spazi facili. Si va senza sosta da un colpo all’altro. Ed è in puro stile Big Band, l’attacco di session C con Fabrizio che dalla sordina e dai Flanger va via in accelerazione in puro stile free con l’acuto esasperato di due ottave sopra, che si rimane senza fiato.
Stende poi tutti il corale scambio tra i fiati in una Caravan da non credere, il pubblico trattiene le mani a stento.
Ecco cosa mi ha colpito davvero del concerto: la bravura, la tenacia di Silvestri che ha creato una struttura granitica dei suoi… e sacrificando le due ottime trombe, ha lasciato spazio al talento di Fabrizio, mettendo tutti in condizione di suonare al meglio delle loro capacità. Il risultato: un’ora e mezza strepitosa dove ce n’è per tutti i gusti, dai due mood (Sentimental su tutti) strazianti e intimistici, alle libere interpretazioni dello swing alla maniera di Coltrane, fino a un paio di brabi in puro stile beebop. Un reale omaggio al secondo Duke.
Alla fine quando pensavi che il più fosse andato, ti chiudono il concerto con una Night in Tunisia semplicemente spaziale, che ci si può solo alzare in piedi ad applaudire.
Daniele De Sanctis