Da qualche ora si è concluso l’Openair, il festival svizzero con band che arrivano da ogni parte del globo. Per seguirlo, abbiamo pensato bene di inviare la nostra blogger Alessandra su un autobus… In partenza da Roma con destinazione Zurigo, per vedere l’effetto che fa.
GIORNO ZERO
24.08.16
Ore 11:50 – Con magnifica ansia, giungo al piazzale di partenza della Stazione Tiburtina, niente affatto preoccupata da un viaggio di circa 12 ore. È deserto e così chiedo a un’autoctona degli automezzi da dove partirà il mio Flixbus: legge la destinazione del biglietto e sgrana gli occhi. Grazie per l’incoraggiamento, sconosciuta amica.
Ore 12:15 – L’enorme brucomela arriva puntuale e ci accoglie un simpatico autista in vena di fare festa. Sto per chiudere gli occhi abbracciata al computer ma la radio passa Linger dei Cranberries, adesso sì che possiamo andare.
Conosco giovanotti che mi raccontano di una vacanza appena conclusa, sono milanesi di ritorno dalle montagne abruzzesi. Impossibile non parlare del terremoto della scorsa notte, impossibile riassumere tutto quello che si pensa dopo una notte così. È più rispettoso non dire nulla.
Ore 20:00 – Arriviamo a Milano e devo fare cambio con un altro mezzo che va verso Praga, la prima fermata (la mia!) è Zurigo all’una di notte: quante possibilità ci sono che non mi risvegli in Repubblica Ceca?
Il grafico mostra la risposta di conoscenti e amici al mio: “Ce la farò?”
Io rappresento la fetta azzurra dell’1%, la gialla ovviamente è mia madre.
L’ARRIVO – Ore 01:00 circa – Un tenue “Zurich”, sussurrato al microfono, avvisa dell’arrivo elvetico. Sono sveglia anche se Siri mi ha negato il suo aiuto. A domani.
25.08.16 – GIORNO 1
Gli amici presenti lamentano il ritardo nell’apertura del Festival, leggerò poi su Noisey Vice CH delle due ore di ritardo e di attesa. Io e la fotografa ci sentiamo in dovere di esprimere la nostra vicinanza agli organizzatori, li capiamo benissimo visto che siamo arrivate direttamente il giorno dopo.
Per i motivi di cui sopra, il report parte dall’esibizione di Amy Macdonald. Ammetto di non conoscerla affatto, se non per i singoli di successo planetario, ma dal vivo è una bomba. Ha una mega voce potente, senza grinze, perfetta. Penso alla mia amica S., insegnante di canto, che di certo commenterebbe così: “Sì, ma a questa le scoppiano le adenoidi se continua a urlare”. Scusa S., ma mi sta piacendo, così decido anche di immortalare live il momento con una bella diretta Facebook. Se non fosse per questo fan molto felice che, con il suo saltellare, mi rende la tecnologia assai complicata.
Qualche pensiero: sono nell’area media, che è una struttura a parte, ci sono due bar separati, sedie e bagno dei privilegi senza fila alcuna. L’area wi-fi non funziona troppo bene lontano dallo stand apposito, e così scrivo a penna sull’agendina sembrando qualcosa di simile a questo:
20:30 – Faccio una pausa nutrimento, mi aggiro tra le varie proposte street food ma sono così pigra che finirò per prendere delle patatine fritte. Prima devo capire come funziona questa storia del chip al braccio, spero di non incontrare complottisti in fila.
Nello ZOA16 è stato adottato un sistema Cashless, ovvero si arriva, si carica una quota sulla schedina magnetica del braccialetto e questa funzionerà sia da portafoglio che da biglietto di entrata: facile, no? Inoltre, per agevolare la pulizia, ma soprattutto per rispetto verso l’ambiente, si paga un gettone di deposito che viene reso quando si riporta il bicchiere. Naturalmente dimentico quanto appena appreso, nel momento in cui butto il primo nel cestino. Ben mi sta, di sicuro non toppo più.
Dopo Jack Garratt, che si esibisce nel Tent Stage, è tempo dei Chemical Brothers di nuovo sul Main Stage. Sono le 21:30 e fanno davvero esplodere tutto. Il visual show di Adam Smith è uno spettacolo nello spettacolo. Omini giganti che passeggiano, geometrie impazzite che tagliano l’aria, l’aria piena di gente che balla nei cerchi di luce.
Scappo via prima della fine della loro esibizione perché non ho mai visto i Sigur Rós
dal vivo e non voglio perdere neppure un minuto. Mi sposto di corsa verso il Tent Stage, dove c’è una specie di gabbia a separare la band dal pubblico.
Iniziano a suonare lì dietro e spero che escano presto. Ho fatto bene ad arrivare per tempo: sono completamente rapita, emozionata e trasportata altrove da questa ondata di suoni nordici. Non ho mai capito un singolo testo, Jónsi potrebbe cantare di seguito parole sconnesse come “Pozzanghera, albicocca e barbapapà”, agitando l’archetto sulla chitarra, e io mi sentirei comunque profondamente colpita. Non scherzo, da subito sento che questo sarà il live più bello e che sarà per me indimenticabile. Viene sparata una luce rossa, sembriamo tutti marziani perché è in alto che siamo adesso.
Purtroppo non ci sono tracce video perché ero momentaneamente assente, sforzandomi di non lacrimare come una teenager di fronte ai Backstreet Boys.
Per oggi la chiudiamo qui.
26.08.2016 – GIORNO 2
h 20:00 – C’è Róisín Murphy (ricordate i Moloko?) che cambia look di continuo, giocando con cappelli, occhiali e trucchetti sim sala bim con il vestito. È senza dubbio il live più divertente, per prima cosa perché si diverte lei stessa sul palco -e questo è sempre confortante- e in gran parte perché il sound è irresistibile. Balliamo tutti perché c’è ancora un gran sole, in più propone pezzi del passato che sono state delle hit assurde sul finire degli anni ’90 e, in fondo, perché bring it back, sing it back to me.
h 22:00 – Gli Editors almeno per oggi, almeno per ora, segnano l’afflusso più grande. Tom Smith arriva sul palco in camicia bianca e faccia leggermente sconvolta, ma non è il mio vicino di casa e non posso sapere se è il suo viso di sempre. Ha lo sguardo allucinato di chi, all’ottava portata di un matrimonio pugliese, tira via la tovaglia e prende a sediate la torta nuziale. Così, per dire la prima metafora che mi fa venire in mente. Le cantiamo tutte, le balliamo tutte, ci disperiamo tutti: è un successo annunciato.
h 23:15 – Bloc Party sul Tent Stage, arrivo carica di aspettative, forse troppe. Penso di poter rivivere i fasti della mia gioventù, di rotolarmi disperata su Kreuzberg ma non succede niente di tutto questo. La mia dignità è intatta ma la misura della noia è colma. C’è anche qualche problema audio. Non mi va di aggiungere altro.
h 00:30 – Dopo l’amarezza Bloc Party, mi sposto verso i Massive Attack e succede una cosa miracolosa, chiudono il live con Unfinished Sympathy: che bella sorpresa! Anche qui si balla fortissimo ma soprattutto si riflette perché, come sempre, la band presenta visual con riflessioni politiche. Le frasi che scorrono sono in tedesco e questo mi porterà a guardare spesso al palco con una tipica espressione carloverdoniana. Anche se nell’anteprima qui sotto appare un gran casino, in realtà il video si vede, se vi va cliccate.
Nonostante ciò, è meraviglioso osservare come brani di più vent’anni fa siano ancora freschissimi e in grado di generare un doveroso silenzio pieno di ascolto. Prima di virare verso il dj-set alle nostre spalle, per ballare fino a notte inoltrata con Four Tet, mi lancio sotto al palco per il gran finale.
27.08.16 GIORNO 3
h 22.00 – La giornata di sabato ha un numero inferiore di persone, ce ne sono pochine a vedere i Kaiser Chiefs ma è un pubblico molto affezionato. Che ne sarà della band dopo l’abbandono di Nick Hodgson che, tra l’altro, ha scritto la maggior parte dei pezzi? Per ora se la cavano bene e c’è una bella atmosfera.
Vado a vedere Dillon ma scappo via. Nel frattempo incontro un amico vestito da orso, assistenti del pronto intervento -che si aggirano tra il pubblico con uno zaino salvavita Ghostbusters- e una che si ostina a volermi rubare la birra. Ti ho detto di Nein.
Il pubblico è quello tipico dei festival: un calderone di coroncine di fiori, cataloghi H&M, scarpe con la suola fluo che si illumina, gente che si ama molto e cammina per mano, persone che si arrabbiano perché hanno preso pasta con Crevetten (gamberi, ndr) che però è senza Crevetten (io). Chi se ne frega, questo festival è molto bello, altroché.
h 00:30 – Sto aspettando gli Underworld, quasi quanto ho atteso i Sigur Rós. Se finora abbiamo assistito a concerti che facevano muovere il piedino, con Karl Hyde nessuno è salvo. Si scatena davvero tutto il pubblico. Guardo quel movimento di bacino e penso “Ha sessant’anni”. Forse durante l’inverno lo congelano, non so.
È un altro live assolutamente perfetto dove la componente visual non la fa da padrona e, anzi, si fonde con equilibrio all’elettronica so ’90s. Inutile dirlo, noi che amiamo Danny Boyle, aspettiamo quel momento magico in cui penseremo alla fuga di Mark Renton. Un temporale improvviso aiuta l’immaginazione e la nostra Amsterdam è la tettoia del palco media, infatti continueremo a seguire il concerto da lì.
Per la prima volta anche nell’area riservata vedo piroette di sedie danzanti mentre qui davanti gran parte del pubblico balla sotto la pioggia e non smette di correre.
Choose Life, Choose Openair.
Auf Wiedersehen, Zurich!
Le foto sono di Rosa Paolicelli.
I video brutti sono del telefono di Alessandra Cristofari.
I video belli sono della fotocamera di Rosa Paolicelli.
Grazie a Zurich Open Air