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Non buttiamoci giù

Diretto da Pascal Chaumeil e adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Nick Hornby

C’erano un irlandese, un nordamericano dell’Idaho, un’australiana e un’inglesina sapida, diretti da un francese di mezza età. Oppure potrei cominciare più formalmente così: Giovedì 20 marzo esce in Italia “Non buttiamoci giù” (A Long Way Down), diretto da Pascal Chaumeil e adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo (successo di pubblico e di critica) di Nick Hornby.

Trama (Spoilers)

Vi si narra la storia di quattro sconosciuti che la notte di San Silvestro si incontrano sulla cima di un palazzo di Londra, noto come la Casa dei Suicidi (per la frequenza di tali episodi), con l’intenzione comune di togliersi la vita, ognuno con motivi diversi. Il primo personaggio ad apparire è Martin, un tempo famoso conduttore televisivo, che si è giocato tutto, carriera, moglie, figli e reputazione, per essersi lasciato tentare a sedurre una quindicenne. I suoi precisi preparativi vengono però interrotti dall’arrivo del secondo personaggio, Maureen, una donna non più giovane che ha sacrificato tutta la sua vita ad un figlio disabile.

La terza persona a salire sul tetto è Jess una diciottenne dal linguaggio sboccato e dal carattere difficile e vuole buttarsi perché Chas, il ragazzo del quale è innamorata, l’ha lasciata. Ultimo a salire sul tetto è l’americano JJ, musicista fallito patito per il rock e la sua ragazza. Ma la sua band si è sciolta e la ragazza lo ha mollato.

Tra i quattro avviene una discussione accesa e assurda che è la premessa per l’evolversi della storia.

Mentre  Brosnan tenta di parodiare il suo fascinoso passato come 007 ed appare sbilanciato sul lato “scacciapensieri” si salva invece (come al solito) Toni Colette, che ci restituisce una Maureen disperata, forse la più credibile da un punto di vista della evoluzione interiore e della processualità psicologica. Aaron Paul e Imogen Poots: da rivedere.

La fotografia del labirinto londinese (angoli di metallo, negozi “color Camden”, locali stile Soho e vintage lofts) e le panoramiche sulla City che fanno da sfondo ai dialoghi sono impeccabili. Purtroppo è una delle poche cose che convincono davvero. Va bene. Vuole essere una commedia sull’amore, sull’amicizia e sull’importanza di avere qualcuno con cui condividere qualsiasi cosa. Nobili intenzioni e soggetto originale. Ma chi ha amato l’irresistibile abitudine di stilare spassose classifiche “Top Five” su qualunque argomento (lo faceva John Cusack) potrebbe come me storcere il naso stavolta. Perché, diciamolo, nel film scarseggia ciò che rende interessante il romanzo, cioè la sapiente mano di Hornby e Chaumeil non è Stephen Frears .

Se si accostano non solo più generi ma anche più punti di vista narranti non sempre è agevole armonizzare, mentre si procede a corrente alternata tra una scenetta comica e un momento drammatico. Sul film poi grava il peso della tematica, che quando non maneggiata con cura prevedibilmente sfora dallo humor nero al grottesco puro.

Massimo Lanzaro