Nella storia dell’arte ci sono personalità che calpestando questo mondo anche per poco tempo riescono a influenzare intere generazioni, cambiando la vita delle persone, il modo di vedere tale poesia. Stelle comete che sfrecciano veloci abbandonandoci improvvisamente, lasciando una sensazione di vuoto dopo il loro passaggio. Una di queste è Kurt Cobain.
Il cantore di un’intera generazione che, appena uscita dal festino sgargiante degli anni Ottanta, si ritrovava improvvisamente depressa e senza un futuro, scoprendo che la vita non era soltanto un loop infinito di sorrisi patinati, ma anche dolore e sofferenza. Una bella iniezione di consapevolezza per una massa di ragazzi abituata alla finzione e all’ipocrisia del quotidiano. Quel portavoce che è stato sconfitto dalla sua stessa lotta annegando nella depressione fino ad arrivare al suicidio a soli 27 anni.
Adesso, a distanza di 21 anni, con Montage of Heck torniamo a rivivere Kurt Cobain e il suo mondo fatto di luci e ombre. Un film che si apre con la luce della nascita nel lontano 1967.
Cobain bambino, le feste di compleanno, sprazzi di spensieratezza e quella vivacità che lo contraddistinse fin dalla tenera età. Poi arrivarono i problemi, le incomprensioni, il sentirsi un corpo estraneo di questa società. Il divorzio dei genitori lo marchiò a fuoco inducendolo a rinchiudersi in se stesso. I suoi primi turbamenti vennero sputati fuori sotto forma di vandalismo, a significare quel ribellismo che successivamente contrassegnerà la sua opera omnia.
Dai turbamenti adolescenziali si passa lentamente a quelli dell’età ‘adulta’, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua carriera da artista, ma anche e soprattutto della sua vita privata grazie a video inediti che valgono da soli il prezzo del biglietto. Video vintage che ci fanno conoscere la persona prima che il personaggio, quell’essere umano fragile e alienato, dotato di una sensibilità troppo forte per reggere le pressioni in una società a lui non congeniale.