A Cannes in concorso c’è “Maps to the stars”, di David Cronenberg, con protagonisti Julianne Moore e John Cusack.
La prima sceneggiatura del film fu scritta da Bruce Wagner nel 2007, ma il progetto non trovò fondi per la produzione e fu cancellato, finché nel 2012 Wagner riscrisse lo script sotto forma di romanzo, intitolato Dead Stars, ed appena il libro fu pubblicato, David Cronenberg trovò nuovi investitori.
Ho sentito (e letto) pareri diametralmente contrastanti: c'è chi lo vorrebbe favorito alla 67ma Palma d'Oro e chi dice che Cronenberg "almeno dai tempi di A Dangerous Method ha preso a deluderci".
Sintetizzo il mio punto di vista partendo da uno schemino: rispetto alla produzione di significati simbolici, possono essere distinte tre classi di film:
- Alcuni deliberatamente richiedono una interpretazione che non potrebbe limitarsi al senso letterale;
- Altri invece pur costruendo un mondo plausibile se ne allontanano con più o meno ampie deroghe alla verosimiglianza ;
- Infine ci sono opere che si offrono ad una apprensione semplice e letterale.
In questo caso apparentemente ci troviamo nella seconda categoria. Mentre emergono vicende realistiche di persone gravemente angosciate da ossessioni, incubi ed allucinazioni sia visive che uditive, c'è la dimensione parallela, simbolica, iper-reale delle chiuse dinastie dei divi hollywoodiani.
L'idea di "remake" è anche allegorica castrazione di qualsiasi progetto di emancipazione ed individuazione rispetto alle figure parentali. Viene il dubbio che non sempre i mostri e i fantasmi che mappano le anime e le identità dei protagonisti abbiano a che vedere con la ricerca della celebrità. E che quindi quello che poteva essere il collante tra il letterale e il simbolico faccia un po' fatica a tenere.
Cronenberg ha dichiarato che il film "non riguarda esclusivamente Hollywood: poteva essere ambientato nella Silicon Valley, a Wall Street, ed in ogni altro luogo dove le persone sono disperate, ambiziose, avide e affette da timori cronici di "non esistenza".
Massimo Lanzaro