Cosa credo di essere? Chi mi credo di essere? Io credevo di essere ciò che non vuoi che sia più… Cosa conto di essere? Chi non smetto di essere? Io credevo di essere ciò che non vuoi che sia più… Chi mi credo di essere? Sono quello che suono…
Cosa questo momento di fine tempo chieda alla musica è difficile a dirsi. Forse di superare lo spessore della patina soporifera con la quale i nuovi media hanno ricoperto l’esistenza. Non per nostalgia dei bei tempi andati ma per il bisogno di vivere fisicamente i suoni che cavalcano il significato dello stare qui, ora. Ed è questo che ho trovato nell’album de iL dOnO dal titolo Una sola moltitudine.
Ma cominciamo dall’inizio e andiamo per gradi, cercando di avvicinare i brani che lo compongono.
Gioco estremo: A volte anche l’amore sa essere minaccioso, soprattutto se martirizzato dalle chitarre e cantato con il distacco della crudeltà.
Come il vento: La velocità è un animale onnivoro, capace di assorbire tutto. Se ad essa viene aggiunto il potere del ritmo e la leggerezza del vento allora anche una vita può dissolversi.
Stare fuori: Una presa di posizione poetica, lontano dalla messa in scena dei sentimenti. Un brano immerso nelle vibrazioni di una chitarra acustica suonata in una sorta di accerchiamento spaziale.
Memento: Anche la fragilità può essere maestosa.
Ovunque sei: Nella simbiosi degli amanti potrebbe nascondersi qualcosa di oscuro e distruttivo che la musica di questo brano sembra alleviare.
Retrò: Basso, chitarra e batteria all’unisono su un testo perfetto per la mezzanotte del mondo.
Vana gloria: Brano ostico, scolpito nelle sonorità ruvide di una cantina senza uscita.
Una sola moltitudine: Dal carro che attraversa il centro della città vestita a festa si alza il canto isterico dell’attore vestito a lutto. La folla applaude disperata, ogni distanza è morta.
Stanza blu: C’è nella fantasia qualcosa di insondabile, un mondo rovesciato gravido di visioni capaci di trasformare ognuno di noi nella proiezione spaziale di un sogno.
Ciò che rimane: Costruito su una ritmica geniale questo brano porta alla dipendenza da ascolto.
Vita propria: Nell’intimità nascono confessioni inspiegabili, capaci di smontare una vita, soprattutto se aperte al cielo da una musicalità sconosciuta e sincera.
Così, saltando volutamente i riferimenti alle influenze musicali e letterarie che in questo caso dovrebbero essere definite eredità, il disco dimostra quanto sia difficile oggi raccontare la vita e la moltitudine di sensazioni che la compongono, in maniera tale che possa apparire per quella che è e non per quella che dovrebbe essere. Il tutto nella piena pericolosità del rock inteso come arte.
«Io vorrei un giorno in più per imparare a perdonare
ciò che al Mondo non perdono più.
Io vorrei un giorno in più per ritrovare le parole, quelle a cui non hai creduto tu…»
Piero Maironi
IL VIDEO – VANA GLORIA