L’ultimo lavoro di Paolo Virzì è ambientato nell’Italia del nord e racconta le vicissitudini di due famiglie, gli Ossola e i Bernaschi, rilevando i chiaroscuri di un’umanità d’impronta brianzola ormai alla deriva.
La prima scena ci fa vedere un “povero cristo” ciclista investito da una Jeep e lasciato moribondo in un fosso. Da qui, attraverso il percorso di quattro personaggi, si scoprirà chi era al volante e quindi il colpevole di mancato soccorso.
Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni) un wolf della finanza del Belpaese è per Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), un self-made agente immobiliare, la “luce dei suoi occhi” e aspira ad entrare in affari con lui.
Sta di fatto, che sua figlia è la fidanzata del Bernaschi junior e questo facilita Dino nel poter conoscere e conquistare la simpatia di Bernaschi senior.
Prima di scoprire l’autista della Jeep assassina “sfileranno” le vite di altri personaggi: Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi), benestante signora su tacchi a spillo, una Blue Jasmine all’italiana; Roberta Morelli (Valeria Golino), moglie di Dino e psicologa del profondo ma poco attenta a ciò che succede in superficie; Luca Ambrosini (Giovanni Anzaldo), un giovane adolescente vittima di stalking da parte della sfortuna e capro espiatorio del male di questa bella comunità italica.
Piacevolissimo Gifuni negli accenti lombardi e gutturali accompagnati da movimenti a mo’ di scossa elettrica per emozioni trattenute; Bentivoglio sembra abbia aperto il baule della commedia dell’Arte per acchiappare un’entità meschina e saltellante come il suo personaggio; Luigi Lo Cascio dà vita a un intellettuale sensibile, ambizioso e squattrinato cui non sembra vero essere riuscito a irretire la moglie di un magnate.
Paolo Virzì ha preso ispirazione dall’omonimo libro scritto dall’americano Stephen Amidon e ambientato nel Connecticut, ma il regista ci ha visto, senza alcuna difficoltà, il nord d’Italia e… non solo!
Ci si vede questo Paese, anticamente culla della civiltà, lasciato agonizzante e in balia d’interessi privati. Ci si vede una metafora dell’Italia in questo ciclista investito sulla strada e aiutato solo da qualche passante anonimo che mosso da un sano senso civico e umano chiama i soccorsi. Virzì racconta la verità dell’Italia. Quando ci sono i disastri quelli che si tirano su le maniche, sono le persone senza volto che fanno appello ad un altro modo di sentire le cose e che sono fortunatamente la speranza di un futuro migliore.
Un thriller nel quale fa capolino la commedia all’italiana e rimane agghiacciante nella sua spietatezza. Ciò che conta nella vita sono i soldi e l’apparenza. Il resto è futile. Gli ingredienti per un film riuscito ci sono tutti. La sceneggiatura, la struttura ad intreccio ben calcolata, un cast di grandi interpreti e un titolo di richiamo, il Capitale Umano.
Il regista livornese ha raccontato la storia vera di una certa classe sociale – come ha fatto nei suoi lavori precedenti e indimenticabili – piena di privilegi, nella nostra amata Italia, con grande maestria. Manca tuttavia quella magica essenza che sussiste davanti ad un masterpiece e che dona allo spettatore una visione più ampia e liberatoria.
Fortunata Grillo