Cinema

Elvis & Nixon

Durante una festa di Natale, lo sceneggiatore Joey Sagal si trovava a casa del suo amico produttore Cassian Elwes. Mentre era lì, il suo sguardo venne attirato da una foto tipo segnaletica, scattata dall’artista Russell Young a Elvis Presley, nella quale il cantante, nient’affatto sorridente, era stato ritratto di fronte e di profilo. Incuriosito, volle saperne di più.

Elwes gli disse che quella foto era stata realizzata quando Elvis si recò segretamente a Washington D.C. per chiedere a Richard Nixon di farlo diventare un agente della narcotici sotto copertura. Da lì è nata l’idea per il film “Elvis & Nixon”, diretto da Liza Johnson, co-sceneggiato da Joey Sagal, Hanala Sagal e Carey Elwes e interpretato da Michael Shannon, nei panni di Elvis, e Kevin Spacey, nel ruolo di Richard Nixon.

In una mattina di dicembre del 1970, il Re del rock’n’roll, accompagnato dal suo amico di lunga data Jerry Schilling (nel film interpretato da Alex Pettyfer), si presentò alla Casa Bianca, senza preavviso, per ottenere un colloquio con il presidente degli Stati Uniti d’America. Elvis credeva che avrebbe potuto essere d’aiuto al Paese per combattere l’antiamericanismo e il dilagare della dipendenza dalle droghe nelle nuove generazioni, infiltrandosi senza destare sospetti nelle band ribelli più famose, grazie alla sua notorietà.

Riuscì a convincere le guardie incredule di trovarselo davanti a consegnare a Nixon in persona una lettera lunga sei pagine, scritta a mano da lui stesso, con la quale chiede di avere un incontro privato con il presidente.

I membri dello staff della casa Bianca Egil “Bud” Krogh (Colin Hanks) e Dwight Chapin (Evan Peters) consigliarono Nixon di incontrare il cantante, perché la campagna elettorale in corso ne avrebbe tratto beneficio, ottenendo l’attenzione soprattutto da parte dei giovani. Ma il presidente meno rock’n’roll della storia degli Stati Uniti, non potendo concepire un nesso tra la politica e il mondo dello spettacolo (certo, erano altri tempi), non accettò di vedere Elvis. Così Jerry e Sonny (Johnny Knoxville), il partner di Elvis, in accordo con Krogh e Chapin, escogitarono un piano: Presley firmerà un autografo per Julie, la figlia ventiduenne di Nixon, e il presidente accetterà di concedergli un appuntamento.

Il 21 dicembre 1970 quindi la leggenda del rock e l’uomo più potente del pianeta s’incontrarono per un improbabile colloquio, nel quale, dopo essersi studiati e scrutati con molta attenzione, inaspettatamente simpatizzeranno, scoprendo di avere molto in comune, come ad esempio l’anticomunismo. E la celebre foto, scattata nello studio ovale, che li vede sorridenti stringersi la mano ne è una prova.

Quell’immagine pare sia la più richiesta agli Archivi di Stato di Washington, simbolo dell’unione tra due icone di culture contrapposte, ma molto preoccupati per i tempi che stavano cambiando.

Elvis si sentiva minacciato dai nuovi gruppi rock, come i Rolling Stones, anche se continuava ad essere un idolo, destinato però ad infrangersi qualche anno dopo quando sfatto, grasso, depresso e devastato dai farmaci, venne trovato agonizzante nella sua stanza da bagno a Graceland.

Nixon, passato alla storia come il presidente dello scandalo Watergate, troppo scontroso e paranoico, diffidente nei confronti dei giornalisti e pieno di nemici, non era simpatico all’elettorato.  Un personaggio sgradevole che poteva appunto ricavare grande visibilità nel ricevere Presley nello Studio Ovale.

In realtà, nessuno sa cosa si siano detti veramente e per ricostruire la storia gli sceneggiatori si sono serviti delle uniche due testimonianze esistenti sull’incontro e gli eventi che lo hanno determinato. Si tratta del libro di memorie “Me and a Guy Named Elvis”, scritto da Jerry Schilling, e delle note manoscritte durante la riunione da Egil Krogh, pubblicate poi nel volume “The Day Elvis Met Nixon”.

Il risultato ottenuto è un film divertente e surreale, ma non privo di significato, con due attori straordinari creatori di quell’alchimia propria solo dei grandi interpreti. La stessa che probabilmente si sarà prodotta dal contatto tra due figure iconiche come Elvis Presley e Richard Nixon.

Michael Shannon porta sullo schermo un Elvis fisicamente diverso dalla realtà. Una non somiglianza volutamente cercata dalla regista che voleva far recitare non un sosia del re del rock, che lo avrebbe fatto diventare la solita caricatura, ma un attore che sapesse coglierne gli aspetti caratteriali intimi e i manierismi fisici per far emergere la persona al di fuori del personaggio. Shannon, vestito con gli abiti realizzati sui modelli originali di quelli indossati da Elvis durante la visita alla Casa Bianca, incarna perfettamente il mito che il cantante era diventato. Si muove nelle stanze della dimora del presidente da uomo sicuro, senza lasciarsi intimidire da ciò che rappresenta, confrontandola anzi per grandezza con la sua favolosa Graceland.

Non rispetta le regole del protocollo che gli vengono impartite, si permette di indossare le armi, dalle quali non si separa mai, lasciandole con riluttanza al capo dei servizi segreti addetto al controllo. Ne aveva portata anche una in regalo al presidente, una Colt calibro 45 automatica dalla seconda guerra mondiale (che ora si trova nella collezione permanente presso la Nixon Library a Yorba Linda, in California). Gli viene requisita, senza la sua approvazione, e consegnata a Nixon svuotata dei proiettili.

Parla alla pari con il presidente, ma lui è Elvis, il re del rock, può permetterselo.

Kavin Spacey, che il ruolo di capo di stato degli Stati Uniti d’America e lo Studio Ovale li conosce bene grazie alla sua interpretazione del presidente Frank Underwood nella serie tv “House of Cards”, impersona Nixon esaltandone vezzi e difetti fisici, come il suo camminare curvo e la sua goffaggine. Per prepararsi ha ascoltato ore di registrazioni di conversazioni telefoniche dell’ex inquilino della Casa Bianca, ha recitato sul set avendo a disposizione un piccolo schermo per guardare vecchi filmati su Nixon. Una ricerca così meticolosa per la costruzione del personaggio che rende Spacey il solito fuoriclasse.

Clara Martinelli