Recupero è parola assai in voga da qualche anno. Si recupera ogni cosa, la barba alla Lennon, la sudatissima bicicletta (ho recuperato persino la parola per esteso, in offesa alla striminzita e partitica BC), la camicetta di mammà, le ricette della nonna, la musica che “io so apprezzare e voi non c’avete manco le orecchie per sentirla”. E meno male, aggiungerei. Non curante ma non indifferente, volendo recuperare il celebre epitaffio di Ray, direi che si tratta dell’acqua più riscaldata del secolo. Un brodino tiepido e ristorante dopo una giornata di pioggia di bytes. Ma fa sempre bene un brodino, checché se ne dica. Ora che la mela non fa più pensare al medico e che “il grano fa pensare ai soldi”, una nuova virata al passato riscalda un po’ tutti.
Recupero però potrebbe anche far pensare a una pratica sociale, volendo “evadere”. Un’azione collettiva per la collettività. Questo concetto potrebbe sì essere recuperato, rifacendosi ad esempio alle imprese titaniche di Angelo Righetti e alle sue cooperative. Chissà se l’arte, non solo come ready made o arte povera, per citarne due, può affrancare il proprio operato di recupero dall’ambito dell’oggetto a quello del soggetto.
E’ quello che hanno in mente gli organizzatori di DETENZIONI, rassegna di spettacoli, dibattiti e mostre, al secondo anno di vita a Torino. La manifestazione si svolgerà dal 29 Ottobre al 30 Novembre in diversi luoghi della città.
In riferimento al tema di quest’anno, si legge nella home del sito che “l'edizione 2013 di DETENZIONI si occupa del disagio mentale nell'ambito della detenzione, in relazione sia al trattamento del detenuto con problemi psichiatrici sia all'effetto prodotto dalla detenzione sulla salute mentale dei soggetti. Attenzione particolare è stata rivolta alla discussione sulla chiusura degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari)”.
Recupero, dicevamo.
L’inaugurazione avverrà il 14 Novembre, senza sedute in pompa magna: si è scelto invece di ossequiare Marco Cavallo, la macchina teatrale di legno e cartapesta realizzata nell'Ospedale Psichiatrico di Trieste nel 1973, divenuta simbolo della chiusura dei manicomi e della legge 180 (riforma Basaglia), che restituì dignità e cittadinanza alle persone con disturbi psichici.
Dopo quarant’anni, Marco Cavallo è di nuovo in viaggio, questa volta per chiudere gli OPG, dove ancora sono internati malati di mente rei penali e civili, scongiurare quindi la loro segregazione e avviare un percorso di cure e reinserimento che tenga conto dei passi in avanti svolti dalle neuroscienze e dai centri di assistenza.
Ma che soprattutto tenga conto del principio di bellezza, perno su cui Basaglia e Righetti hanno incentrato la loro (e di tutti) lotta ai manicomi. Non c’è bellezza interiore, senza piacere esteriore. Più precisamente, etica dell’estetica. Non è in ambienti sporchi, bui, grigi, umidi, abbandonati, chiusi che possono riscontrarsi miglioramenti logici ed emotivi.
E’ per questa ragione, a partire dal 2009, che “l'associazione culturale Interno4 attraverso DETENZIONI promuove mostre ed eventi con l'intenzione di mettere in comunicazione il mondo del carcere con l’ambiente esterno ad esso, e particolarmente con quei settori della creatività che possono trarre spunto da una riflessione su questa realtà” ma soprattutto perché estremamente efficace “per la persona detenuta la consapevolezza di essere parte attiva all’interno di questo processo creativo”.
All’interno del programma verrà presentato all’Hub Culturale Cecchi Point, il film Lo Stato della follia, di Francesco Cordio, martedì 19 novembre alle ore 21, in cui vengono filmate le drammatiche situazioni all’interno degli OPG italiani, con la testimonianza dell’attore Luigi Rigoni, ex-internato ad Aversa.
Il carcere è anche insospettabile ragione d’incontro tra Roma e Milano.
Alla Triennale di Milano, dal 29 ottobre fino al 15 dicembre 2013, la mostra intitolata, guarda caso, Recupero ospita una selezione di progetti di eco-design e di autoproduzione, sintesi della collaborazione tra artisti, designers e l’associazione Artwo di Luca Modugno. L’associazione, fondata nel 2005 a Roma, si occupa della raccolta e della riqualificazione di oggetti d’uso comune o semilavorati, realizzati in concerto da artisti, designers e detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia.
Tra i coinvolti ci sono Massimiliano Adami, Ivan Barlafante, Fabio Della Ratta, Carlo De Meo, Yonel Hidalgo, Lanzavecchia + Wai, Alessandro Mendini, Paolo Ulian e soprattutto le mani operose dei detenuti.
Sempre a Milano, il carcere di San Vittore incontra l’Edge Festival, rassegna europea che promuove la diffusione delle Arti attraverso l'incontro tra compagnie che in Europa hanno scelto di lavorare in contesti disagiati (carceri, luoghi di conflitto, centri per rifugiati, centri di sostegno per i diversamente abili, centri di malattia mentale).
Il Piccolo Teatro/Teatro Studio Melato il 2 novembre affida il palcoscenico a venti attori, pazienti psichiatrici e non, per lo spettacolo Insanamente Riccardo III di Roberta Torre (in anteprima il 30 ottobre a Rho nel circuito ScenAperta).
Dal 29 Ottobre al 30 Novembre, numerosi gli incontri e gli spettacoli che si susseguiranno, dall’incontro in carcere tra i detenuti e la regista Roberta Torre e successivamente Pippo Delbono, allo spettacolo La Casa Bernarda Alba fuori San Vittore al Teatro Verdi. E poi letture di Ariel Dorfman, workshop al Teatro Argomm, presentazione della rivista Oltre il Giardino al Teatro Sociale di Como.
Non è certo cosa facile affrontare il problema della detenzione fisica e psichica da un punto di vista estetico, in una società ancora molto incancrenita in metodi punitivi e repressivi.
Un aneddoto può servire forse meglio di ulteriori considerazioni: in un modo un po’ losco, Einstein in una lettera chiese a Freud se dopo aver scritto così tanti tomi, alla fine fosse in grado, anche lui come il fisico, di dare una definizione della salute mentale. Freud, che non era affatto meno arguto, gli rispose che la salute mentale è “Lieben und Arbeiten”, amore e lavoro. Da non confondere con il lavoro che ci consuma. Si tratta di sfera emotiva e sfera relazionale. In continuo e reciproco recupero l’una sull’altra.
D’altronde Burton definiva le nevrosi da passività e gerarchia “sindromi da istituzionalizzazione”. Possiamo dircene liberi ed esenti?
Laura Migliano