Presentato a Roma alla sesta edizione del Festival “Rendez vous”, “Mister Chocolat” del regista e attore Roschdy Zem narra la vera storia del primo artista nero che si esibì in Francia durante la Belle Èpoque. Conosciuto appunto come “Chocolat” si chiamava in realtà Rafael Padilla ed era nato schiavo a Cuba nel 1868. Per sfuggire al suo destino si trasferì a Bilbao ed in seguito si ritrovò a lavorare nel misero circo di Monsieur Delvaux, vestito con una pelle di leopardo e un osso tra i capelli per impersonare il negro selvaggio che spaventa adulti e bambini. Ne intuisce il talento George Footit, un clown bianco con alle spalle una lunga carriera, rimasto a corto d’idee. Vedendo come si muove Rafael, capisce che con lui potrebbe creare un duo clownistico innovativo, basato sulla diversità del colore e sulla comicità classica. La nuova formazione riscuote molto successo ed il circo di provincia si riempe di pubblico ad ogni spettacolo. L’eco della bravura dei due artisti raggiunge anche il proprietario del Cirque de Paris, che li va a trovare offrendo loro di lavorare per lui. Dopo aver accettato, Rafael (che d’ora in poi si chiamerà Chocolat) e Footit vedono aumentare sempre più popolarità e guadagni. Ma Rafael, che è un gaudente che ama le donne, il gioco d’azzardo, la bella vita e l’alcol si troverà presto nei guai. Non solo. È un clandestino, non ha documenti e, dopo una soffiata, verrà chiuso in carcere per una settimana. In cella troverà come compagno un vecchio haitiano molto colto che lo illuminerà sullo scopo della sua vita. Basta prendere calci da un bianco per far ridere le persone, basta sottomissione. È arrivato il momento di acquistare la dignità del vero artista, per lasciare una traccia del proprio passaggio sulla terra. Grazie all’impegno di Footit e a quello del direttore del Cirque de Paris, Chocolat esce di prigione ma ormai non è più lo stesso, deciso a voler provare un’altra strada.
Convinto che il successo da clown lo abbia ormai consacrato come stella di prim’ordine, pensa di potersi permettere di recitare a teatro in un’opera seria come l’”Otello” di Shakespeare, che fino ad allora era stato interpretato da un attore bianco con il viso dipinto. Pur impegnandosi molto e ottenendo un buon risultato, Rafael sarà costretto a rassegnarsi alla discriminazione razziale dell’epoca: al momento dei ringraziamenti, il pubblico in teatro lo fischia e lo caccia via. Nel film non si capisce bene cosa poi succeda negli anni seguenti, perché dopo questi fatti passiamo ad un Chocolat invecchiato, ridotto in miseria, ammalato di tubercolosi e prossimo alla morte, accudito dall’infermiera bianca che si era innamorata di lui. Accanto al suo capezzale, giusto in tempo per dargli l’estremo saluto, arriva Footit che non vedeva da tempo.
La vicenda di Chocolat, impersonato da un fantastico Omar Sy (“Quasi amici”, “Due agenti molto speciali” e “X-Men – Giorni di un futuro passato”) e di George Footit, interpretato da James Thierrée, attore con una tradizione circense alle spalle e nipote di Charlie Chaplin, è rimasta semi sconosciuta ai più, persa in un lontano passato. Di loro si hanno pochissime testimonianze, come ad esempio un filmino girato dai fratelli Lumière. Roschdy Zem li ha conosciuti quando ha letto la sceneggiatura scritta da Cyril Gely e ha subito trovato l’idea molto originale. Il film, seppur con qualche ingenuità, ha una doppia valenza simbolica. Una è quella di far riemergere una vecchia storia, ancorata a pregiudizi non ancora sopiti. L’altra, ad un livello di lettura più profondo, riguarda il significato del bianco e del nero, due parti della medesima persona che si contrappongono. Il raziocinio di Footie che controlla la parte fool, l’ombra di Chocolat. Non è un caso, quindi, che “siamo due facce della stessa medaglia” e “uniti per sempre” siano le frasi che ricorrono spesso nel film.
Clara Martinelli