Cinema ENTERTAINMENT

Al Festival di Roma doppia premiazione per “Sebunsu Kodo” (Seventh Code)

Kiyoshi Kurosawa vince il premio per la migliore regia e Koichi Takahashi per il migliore contributo tecnico

J-Horror è un termine usato per riferirsi agli horror di provenienza giapponese che tendono a concentrarsi sul  carattere psicologico, costruendo la tensione più su ciò che non viene mostrato. Cure (cui rimando) è un film del 1997 scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa che negli, anni ’90, permise, insieme alla quasi contemporanea realizzazione di Ringu, la nascita del fenomeno J-Horror.

Siamo in Piazza Barberini 24, sono le 20:00 circa del 16 Novembre e quasi tutti, credo, a quest’ora sappiamo già che Kurosawa (Kiyoshi n’a aucun lien de parenté avec Akira) ha vinto il Premio per la migliore regia con “Sebunsu kodo” (Seventh Code).  La curiosità di vederlo o di rivederlo è viva.

Si comprende ben presto che, accantonato l’horror che l’ha reso celebre, Kurosawa ha preso a mescolare i formati ed i generi del cinema mentre gioca con le aspettative dello spettatore. Tralascio i sottotesti sulla solitudine e i disturbi di adattamento di improvvisati migranti e le dinamiche goffe di  improbabili sgangherati gangster, che pure ci sarebbero. La metto invece giù così: siamo a Vladivostock, estremo oriente russo, per una storia che vede protagonista la stella del J-Pop Atsuko Maeda, dove ci sono come ingredienti: lo stalking, il kung-fu e Cenerentola.

Con i suoi 60 minuti di durata, Seventh Code si pone sulla linea di confine tra umorismo surreale e musica pop. Il fatto che uno forse neanche ci pensava che potesse esserci quella linea, o sapeva che forma avesse, è uno dei plurimi meriti di questo film. Uno ulteriore forse è che a luci accese tutti ridevano o sorridevano ma, d’acchito, per quel poco che ho “carpito”, nessuno aveva ben capito “perché”.

Massimo Lanzaro