Quest’anno il Sessantotto compie cinquant’anni e tutti, in qualità di posteri, si chiedono quale sentenza debbano emettere: è stato un successo o un fallimento?
Partito in America già nel 1966 con le proteste contro la guerra del Vietnam, il movimento di contestazione sbarcò subito dopo in Europa occidentale invadendone man mano tutti i Paesi. Manifestazioni e occupazioni iniziarono anche in Italia a partire dallo stesso anno e imperversarono per tutto il 1968, fino all’autunno caldo del 1969.
Se il movimento attecchì così bene nel nostro Paese, è perché trovò un terreno già fertile: con il boom economico e le trasformazioni sociali che ne conseguirono, la società italiana era attraversata da profonde tensioni. Lo sviluppo industriale aveva fatto crescere a dismisura le masse operaie e il benessere aveva portato a un vistoso incremento della popolazione studentesca. Entrambe le categorie, grazie alla una più ampia diffusione dei mezzi di comunicazione, avevano maggiori possibilità di assistere alla vita politica, conoscerne i fatti, notarne le mancanze. Fu così che nacque una nuova consapevolezza, l’idea di una società civile che ha il diritto e il dovere di adoperarsi per migliorare la realtà.
Dal canto suo, la politica era chiamata a rispondere alle mutate esigenze economiche e sociali del Paese. Se all’inizio degli anni Sessanta la cooperazione tra DC e PSI sembrava un segnale di apertura al cambiamento, dopo la crisi di Governo del 1964 e le minacce di colpo di Stato del Piano Solo, i governi democristiani ritornarono su posizioni più caute. Fu proprio questa mancata risposta dall’alto a esacerbare le tensioni, sostenute anche dai venti rivoluzionari appena giunti da oltreoceano.
Iniziò allora la stagione delle contestazioni con i suoi grandi temi: la giustizia, l’eguaglianza, il disprezzo per l’individualismo e il consumismo, e soprattutto la lotta all’autoritarismo in tutti gli ambiti della vita, dalla famiglia all’università, dall’economia alla politica.
Il Sessantotto fu quindi innanzitutto il risultato di un processo. Fu lo sbocco di tutte le tensioni che erano andate accumulandosi in una società diventata troppo stretta e repressiva per i tempi moderni; tensioni che finirono per riversarsi in un flusso di proteste dominato dall’idea di libertà, libertà da tutto. Alcuni criticano appunto la qualità astratta e indefinita della contestazione, quella della protesta fine a sé stessa, distruttiva e non costruttiva. Altri restano convinti che senza lo spirito e l’impatto sociale del Sessantotto molte battaglie oggi vinte sarebbero ancora in corso: l’emancipazione della donna, la laicizzazione della società, le unioni civili, il biotestamento.
Ma che il movimento abbia sortito effetti concreti sul momento è in qualche modo secondario. Come dimostrano le numerose iniziative e celebrazioni organizzate per questo anniversario, il Sessantotto è un evento storico e culturale ben vivo nella memoria collettiva e questa in ultima analisi è già una vittoria.
Diana Burgio