Arte

Toulouse-Lautrec: il guru del 2016

La mostra, che si può visitare nel museo dell’Ara Pacis fino all’8 maggio 2016, consiste nelle 170 litografie che costituiscono la collezione del museo di Budapest

Durante queste vacanze natalizie, tra una partita a tombola e gli scambi dei regali, ho trovato l’occasione di respirare lo spirito delle Feste tra le vie di Roma, in una luminosa e rigida giornata di fine dicembre. Adoro fantasticare su quanti festeggiamenti abbiano spiato le finestre degli stretti vicoli o quante famiglie gioiose abbiano calpestato i sanpietrini sconnessi durante le loro promenades. Passeggiando senza meta, guidata solamente dalla statuaria e generosa bellezza della città, mi sono ritrovata di fronte alla struttura Meier: mi riferisco a quell’edificio che sembrerebbe ideato dal gruppo De Stijl e che copre l’Ara Pacis. Nel guardarmi intorno, cercando di integrare quella nota moderna nel panorama eterno che si affaccia sul lungotevere, vengo attirata dall’unico elemento colorato su un cubo bianchissimo: il manifesto della mostra di Henri de Toulouse-Lautrec. Sapevo dell’iniziativa espositiva, ma contavo di andarci nel nuovo anno. E invece mi sono detta: ma perché – dal momento che mi conosco bene – posticipare ad infinitum? Se c’era un buon proposito per l’anno nuovo da anticipare sarebbe stato: carpe diem. E così ho fatto.

Ho sempre amato Henri de Toulouse-Lautrec. Questo artista della Belle Époque parigina mi ha sempre affascinata: sarà per la sua aurea bohémien, sarà per la mondanità fatta di luci, musica, pizzi e pettegolezzi su cui mi fa fantasticare, sarà per l’irriverenza caricaturale dei suoi personaggi, non saprei dirlo; fatto sta che quelle gonne a ruota, quei cilindri e quei gatti neri, per me, sono inconfondibili.

La mostra, che si può visitare nel museo dell’Ara Pacis fino all’8 maggio 2016, consiste nelle 170 litografie che costituiscono la collezione del museo di Budapest. Percorrendo l’esposizione, veniamo a conoscenza della poliedrica produzione di questo artista anticonvenzionale e con un grande amore per la vita, finita però a soli 36 anni.

La mostra inizia con i primi anni di attività parigina nel quartiere di Montmartre, dove il giovanissimo Henri, proveniente dalla campagna meridionale, frequentava la vita notturna che sarebbe diventata il suo caratteristico immaginario figurativo.

Proseguendo, troviamo una parete esplicativa della pratica litografica di cui Toulouse-Lautrec era un grande fautore e perfezionista in virtù della sua innovativa attività pubblicitaria. Infatti, il grande successo tra i contemporanei fu dovuto a forme espressive alternative all’arte ufficiale. La svolta avvenne con la pubblicità realizzata nel 1891 per il Moulin Rouge, raffigurante La Goulue, una popolare ballerina. Successivamente Toulouse-Lautrec ricevette numerose commissioni che lo integrano ancor di più in quel mondo sfavillante e un po’ promiscuo della notturna ville lumiere, diventando grande amico del noto cabarettista Aristide Bruant (icona della produzione di Toulouse con il suo nero mantello voluminoso, cappello a larghe tese e una sciarpa rossa intorno al collo su un manifesto del 1893).

Così accediamo alla terza sezione: Le dive. Qui, con inserzioni interattive sugli intrattenimenti della Belle Époque, sono collocate le litografie che rappresentano le artiste e amiche (nonché spesso amanti) di Henri, come la ballerina Jane Avril.

Il rapporto con le donne si faceva ancora più intenso e disinibito con le protagoniste dei bordelli parigini che Lautrec frequentò tra il 1892 e 1895. Si trovò in forte sintonia con questa “corte dei miracoli” in cui la sua deformazione fisica non era motivo di scandalosa emarginazione e in cui qualunque censura moralistica saltava (anche nelle poco aggraziate pose in cui ritraeva le sue modelle prostitute). In questa sezione è collocata una serie di cromolitografie del 1896 intitolata Elles che comprende le famose Donna alla tinozza e La clownessa seduta, entrambe del 1896). Ma la grande apertura e l’amore di Toulouse verso la vita emergono anche nella sincerità con cui rappresentava l’amore lesbico in Il grande palco (1897).

Nella quarta sezione della mostra, dagli ambienti in ombra dei bordelli torniamo alle luci del teatro. Ma questa volta sul palcoscenico. Costumi romani, chiaro-scuri a contrasto, locandine e libretti caratterizzano questa stagione produttiva ed esistenziale dell’artista francese.

Nella quinta e ultima sezione, troviamo Henri Toulouse-Lautrec alle prese col circolo culturale di cui faceva parte, avente centro nevralgico la casa dei direttori del periodico Revue Blanche (per cui il nostro artista creò una copertina nel 1895), fino alla sua ultima produzione, in cui riscoperse un amore naturalistico e realizzò illustrazioni per libri su richiesta dei suoi amici.

Alla fine della mostra resta la soddisfazione di aver conosciuto più da vicino, non solo le opere, ma la personalità multitasking di un artista fuori dagli schemi del Salòn ufficiale che ha dovuto soffrire una lunga diffidenza per essere finalmente riconosciuto tale a tutti gli effetti. Il suo tratto istintivo e febbrile che crea mondi interi con pochi tocchi, il suo uso personale del colore, steso nell’inedita maniera dello schizzato tra campiture che si compenetrano e la bidimensionalità secondo le stampe giapponesi di gran moda all’epoca, incantano i visitatori, piantati davanti le cornici, che cercano di penetrare il segreto di tanta apparente semplicità. Così, una volta uscita, sono subito investita da tramonto arancione inciso dai rami secchi e neri degli alberi sul lungotevere che mi ricordano le stampe appena viste. E proseguendo la mia passeggiata romana, assaporando le immancabili caldarroste, ripenso ai due grandi motivi per cui adoro Toulouse-Lautrec: trovare nell’imperfezione l’ideale forma di perfezione e godere a pieno della vita in tutte le sue manifestazioni, insomma, un po’ quel carpe diem che mi aveva spinta ad entrare.

Letizia Del Pizzo