Psicologia e Sociologia

Psicopatologia del mondo liquido

Zygmunt Bauman incontra la personalità borderline

Le formulazioni del manuale DSM IV e le versioni successive, come pure le classificazioni più moderne internazionali (ICD-10) hanno ristretto la denominazione di disturbo borderline fino a indicare, più precisamente, quella patologia i cui sintomi sono la disregolazione emozionale e l’instabilità del soggetto. È stato recentemente proposto perciò anche un cambio di nome del disturbo.

Il disturbo borderline di personalità è definito oggi come disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici di questo disturbo è la paura dell’abbandono. I soggetti borderline tendono a soffrire di crolli della fiducia in sé stessi e dell’umore, ed allora cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali. Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali.

Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all’oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in “bianco o nero”, oppure alla “separazione” cognitiva (“sentire” o credere che una cosa o una situazione si debba classificare solo tra possibilità opposte; ad esempio la classificazione “amico” o “nemico”, “amore” o “odio”, etc.). Questa separazione non è pensata bensì è immediatamente percepita da una struttura di personalità che mantiene e amplifica certi meccanismi primitivi di difesa.

La caratteristica dei pazienti con disturbo borderline è, inoltre, una generale instabilità esistenziale. La loro vita è caratterizzata da relazioni affettive intense e turbolente che terminano bruscamente, e il disturbo ha spesso effetti molto gravi provocando “crolli” nella vita lavorativa e di relazione dell’individuo.

Il disturbo compare nell’adolescenza e concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all’età adulta, ma avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta dell’individuo.

Diagnosi secondo il DSM

Il disturbo di personalità borderline è un disturbo delle aree affettivo, cognitivo e comportamentale. Le caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;

3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;

4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, etc.);

5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;

6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochi giorni);

7. sentimenti cronici di vuoto;

8. rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici, etc.);

9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

Ma cosa causa questa sindrome? Secondo la letteratura si sommerebbero diversi fattori: una componente genetica e costituzionale, molto spesso una storia d’abuso in epoca infantile e un contesto di relazioni svalutanti e un ambiente disturbante. L’importanza relativa di ognuno di questi fattori, nella storia clinica d’ogni specifica persone, resta da stabilire.

La riflessione che segue invece tralascia la genesi del disturbo per chiedersi se e quali possano essere gli elementi ambientali che aggravano, perpetrano o impediscono il miglioramento dei sintomi descritti. L'idea prende spunto dalle riflessioni di Zygmunt Bauman, un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Le sue più recenti pubblicazioni si sono concentrate sul passaggio dalla modernità alla post-modernità, e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società.

Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili. È diventato tutto più fluido, liquido appunto.

Nel nostro mondo fuggevole, fatto di cambiamenti imprevisti e talora insensate, quei sommi obiettivi dell’educazione tradizionale quali le consuetudini radicate e le scale stabili di valori diventano degli ostacoli. Quanto meno come tali vengono presentati dal mercato della conoscenza, per il quale lealtà, vincoli indistruttibili e impegni a lungo termine sono considerati (come ogni merce, in ogni mercato) “anatema”, e visti come altrettanti impedimenti da eliminare. Ci siamo spostati in un libero mercato in cui tutto può accadere in qualunque momento, e tuttavia nulla si può fare una volta per tutte.

Il settore in cui è più evidente questa trasformazione è quello lavorativo: «In un’epoca in cui [...] i luoghi di lavoro scompaiono con poco o punto preavviso e il corso della vita è suddiviso in una serie di progetti una tantum sempre più a breve termine, le prospettive di vita appaiono sempre più [...] accidentali.»

Ma la liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo è il tema centrale del suo saggio Amore liquido. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi, ovvero l’abitante della società liquido-moderna. Mentre fino a poco tempo fa le relazioni a lungo termine erano considerate “istinti naturali”, oggi vengono percepite come oppressive: «l’impegno verso un’altra persona [...] in particolare un impegno incondizionato, nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, assomiglia sempre più a una trappola da scansare a ogni costo», dice Bauman.

Che effetto ha tutta questa liquida aleatorietà su una persona impulsiva che, come dicevamo ha già una immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili, che già normalmente fa fatica a portare a termine un progetto o un lavoro, che “costituzionalmante” ha poche certezze e la cui instabilità affettiva complica usualmente ogni relazione?

Anche se l'intuizione mi suggerisce qualche risposta, devo dire che la psicologia non ne ha ancora una “ufficiale”. Per cui mi auguro che in futuro anche con l'aiuto delle neuroscienze si scopra se i mutamenti sociali e le variabili che Bauman ha descritto così bene possano giocare un ruolo come fattore predisponente al dipanarsi dei comportamenti “disfunzionali”, e delle disregolazioni emozionali descritte nelle cosiddette personalità borderline.

Massimo Lanzaro