Cinema

Le cinquanta sfumature di Birdman

“Birdman” è l’analisi della costruzione dell’individuo, di autodeterminazione dell’io, dell’attore all’interno della società.

Sono le sette. Per rompere la monotonia di una fredda serata invernale decidiamo, io e la mia compagna, di andare al cinema. Cosa vediamo? Optiamo per “Birdman”, il nuovo film di Alejandro Gonzalez Iñàrritu. “In ufficio mi hanno detto che il film è noioso”, dice una nostra amica. Non demordiamo, abbiamo la testa dura e andiamo comunque al cinema.

Una volta arrivati ai botteghini alziamo lo sguardo per vedere sullo schermo, appena sopra le casse, in che sala verrà proiettato il film. Sala 5. Prendiamo i biglietti, ci giriamo e dietro di noi notiamo numerosi gruppetti, sparsi tutto lo spiazzato antistante il cinema, di ragazzine (chi più adolescenti, chi meno), mamme e nonne. Tutte pronte per guardare il film dell’anno: “Cinquanta sfumature di grigio”.

Dopo una serie di battute ci apprestiamo ad andare in sala. Il film narra la storia di Riggan Thompson, interpretato da Michael Keaton (Beetlejuice, Batman, Jackie Brown, per citare alcuni suoi film), una star in decadimento ha che raggiunto il successo nel ruolo di Birdman, un supereroe con le sembianze di uccello.

Intrappolato nel personaggio di fantascienza, Riggan vuole a tutti i costi dimostrare a se stesso e al pubblico che sa essere qualcosa di diverso dal supereroe interpretato anni prima (anni ‘90). Nel farlo, mette su uno spettacolo a Broadway basato sul racconto di Raymond Carver “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” (“What We Talk About When We Talk About Love”).

Si capisce subito che non è un film per tutti e proprio per questo preferisco non raccontarvi la trama.

Voglio parlarvi del tema che ritorna per tutta la pellicola: cosa siamo noi fuori del palco? Il sociologo Erwin Goffman affermava che noi esseri umani siamo degli attori. L’attore sociale recita nella vita di tutti i giorni, attua una serie di rituali che si reiterano centinaia di volte nelle nostre vite quotidiane. Ecco qualche esempio. Con i nostri genitori noi interpretiamo la parte dei figli. Con gli amici facciamo gli amici e come genitori interpretiamo la parte di padre o madre.

Il comportamento che abbiamo come figli non è lo stesso se prendiamo un altro ambito come quello lavorativo, in cui svolgiamo la parte dei dipendenti o datore di lavoro.

L’attore, l’essere umano, svolge la sua parte in un’ambientazione teatrale che si compone di un “palcoscenico” e di un “retroscena”, dei pattern che agiscono e si sostengono reciprocamente. In questo gioco interattivo, anche il pubblico ha una parte in cui recita se stesso.

Secondo il sociologo americano, l’attore sociale, l’individuo, è in grado di scegliersi il luogo (il palco) e chi gli farà da spalla oltre che scegliersi il costume più adatto a quella determinata azione. “Birdman” è questo, l’analisi della costruzione dell’individuo, di autodeterminazione dell’io, dell’attore all’interno della società. Nel farlo, il protagonista ha bisogno di un sostegno, di una spalla. Riggan Thompson sceglie come sua spalla Mike Shiner (interpretato da Edward Norton) un eccentrico attore chiamato dal protagonista ad essere il suo trampolino nel tempio di Broadway.

Per tutto il film Thompson sarà perseguito dal suo alter ego (Birdman), il vero elemento “disturbatore” di tutto il film.

Vale la pena distruggere la propria vita per seguire il proprio sogno? Chi sono gli attori del cinema quando non sono sotto i riflettori? Cosa nascondono? “Birdman” di Iñàrritu dà in parte una risposta a questi quesiti. Le nove nomination agli Oscar (tra cui miglior film, miglior regia, migliore attore protagonista e miglior sceneggiatura originale) inizialmente mi sembravano esagerate. L’incertezza è venuta meno dopo due ore di film. Ho sempre pensato che i film belli sono quelli che ti lasciano qualcosa dentro. Ora ne sono sempre più convinto.

Roberto Malfatti