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I Dorayaki

Origine e storia dei dorayaki, protagonisti indiscussi de Le ricette della signora Toku, l’ultimo film di Naomi Kawase.

Un’antica leggenda giapponese narra del gong dimenticato da un samurai, di nome Benkei, a casa del contadino che lo aveva ospitato, e dell’utilizzo che quest’ultimo ne fece, servendosene quale fonte d’ispirazione per preparare un dolce dalla forma tondeggiante, che ricordava assai quella dello strumento musicale a percussione. Alla sua prelibata creazione l’agricoltore diede il nome di dorayaki (dora, in lingua giapponese, significa per l’appunto gong).

In realtà, quello che è ancora oggi uno dei dolci più amati nella terra del Sol Levante nasce nel 1914, dalle mani di Ueno Usagiya - il negozio che porta il suo nome è attualmente considerato il migliore dell’intero Giappone in fatto dorayaki -, che dà vita a due frittelle tondeggianti sovrapposte, ottenute da un impasto analogo al pan di Spagna (che prende il nome di kasutera), ripiene, nel mezzo, di anko, una pasta dolce di fagioli azuki, dei piccoli legumi di colore rosso, meglio conosciuti come “soia rossa”.

A dire il vero i dorayaki esistevano già da prima: è stata, tuttavia, la versione a due strati elaborata da Usagiya a conferire popolarità mondiale a questo dolce (che si presenta come un doppio pancake farcito di marmellata scura di fagioli), il quale rappresenta, ancora oggi, uno dei prodotti dolciari più apprezzati della pasticceria tradizionale giapponese.

Grazie al cartone animato Doraemon, la fama dei dorayaki ha travalicato i confini nipponici ed è giunta sino a noi: il protagonista del cartone, un simpatico gatto robot bianco e blu di nome Doraemon, è, infatti, ghiottissimo di dolcetti a forma di gong, che mangia in grandi quantità.

Chi non è mai stato in Giappone o non si è mai documentato sulla cucina giapponese o, più semplicemente, non ha mai visto Doraemon, è, forse, venuto a conoscenza dell’esistenza dei dorayaki grazie all’ultimo film di Naomi Kawase (recentemente uscito nelle sale), Le ricette della signora Toku, una pellicola bellissima e drammatica nella quale i dorayaki sono protagonisti tanto quanto lo sono i personaggi che danno vita all’intera vicenda; vedendo la solerzia e la cura con la quale l’amabile signora Toku, nonostante l’età avanzata e la malattia che l’affligge, prepara la marmellata dolce di fagioli, si viene colti dall’irrefrenabile desiderio di preparare e di mangiare un dorayaki quanto prima possibile.

Desiderio a portata di click: le ricette dei dorayaki impazzano in rete, così come i siti attraverso i quali è possibile acquistarli on line e farseli recapitare comodamente a casa. Chi è restio a comprare su Internet può sempre ripiegare sui negozi alimentari giapponesi (nelle grandi città di solito ce n’è almeno uno) o su qualche ristorante ben fornito.

Certo i dorayaki industriali non hanno il sapore e la genuinità di quelli che consumano in loco i giapponesi, realizzati con una kasutera calda e un’anko fatta in casa, ma il loro gusto è abbastanza fedele a quello dei dorayaki artigianali.

Difficilmente si può dire lo stesso di un “dorayaki all’italiana”, preparato in casa seguendo una ricetta, probabilmente inesatta, reperita su qualche sito di cucina, con la nutella al posto della marmellata dolce di fagioli.
Anche se, come insegna la saggia signora Toku nel film, non è questo quello che importa, in fondo: quello che conta è rispettare la natura delle cose ricordando che tutto, anche i prodotti della terra, ha una storia da raccontare che meriterebbe di essere ascoltata, e non dimenticandosi mai che quando si mangia qualcosa di buono bisogna essere felici.

“Sorridete, se mangiate qualcosa di buono”.

Dalila Giglio