Scienza

Chiome fulve: dai roghi medievali al rischio di estinzione

Una caratteristica presente nell’appena 1-2% della popolazione mondiale: il rutilismo, o, più semplicemente, la colorazione rossa della capigliatura

Cosa accomuna Vincent Van Gogh, Susan Saradon, Winston Churchill, Mick Hucknall e Nicole Kidman?

Una caratteristica presente nell’appena 1-2% della popolazione mondiale: il rutilismo, o, più semplicemente, la colorazione rossa della capigliatura.

Il meno comune fra i colori dei capelli e il più sgargiante, quello scelto per dar vita a personaggi indimenticabili dei cartoni animati come Jessica Rabbit e La Sirenetta.

Il responsabile di tale pigmentazione, è il gene recessivo MC1R (melanocortina-1): dall’incrocio fra due individui entrambi fulvi o ambedue portatori del gene recessivo, risulterà un soggetto altresì fulvo; se, invece, uno dei due soggetti è fulvo e l’altro è portatore del genere recessivo, la possibilità che il nascituro abbia i capelli rossi è pari al 50%, percentuale che si riduce drasticamente nel caso in cui entrambi i soggetti non siano fulvi, ma uno dei due sia portatore del gene recessivo.

Al rutilismo si accompagnano, in genere, la carnagione lattea, sovente “puntellata” da efelidi, e gli occhi azzurri o verdi. Tali caratteristiche, tipiche di quello che viene definito “fototipo 1”, risultano funzionali al massimo assorbimento di vitamina D nelle regioni del mondo - come la Scozia, dove il 13% della popolazione ha i capelli rossi, l’Irlanda e il Nord della Gran Bretagna - caratterizzate da scarsa illuminazione solare.

Il gene MC1R, quindi, si è evoluto per supplire alla quasi assenza di sole tipica di certi climi. Tuttavia, a causa del riscaldamento globale, il rutilismo potrebbe svanire.

A paventare il rischio di estinzione delle chiome rosse è stato, recentemente, l’Istituto ScotlandsDNA, secondo il quale l’aumento delle temperature e l’incremento della luce solare, potrebbero portare a una mutazione del gene recessivo il quale, con il passare del tempo, finirebbe con lo scomparire.

Un epilogo infausto e inglorioso per una pigmentazione da sempre oggetto di pregiudizi negativi e di superstizioni in sola ragione della sua particolarità e rarità.

Ci sono state epoche in cui avere una capigliatura rossa costituiva un’inappellabile sentenza di condanna.

Fra il XV e il XVIII secolo, l’Inquisizione torturò e arse sul rogo milioni di donne, alcune delle quali solo perché caratterizzate da chiome fulve, essendo i capelli rossi la prova inconfutabile dei loro rapporti con le forze del Male (la capigliatura era divenuta rossa in seguito al furto di parte del fuoco nell’Inferno). Anche gli Egizi, nonostante considerassero le persone con la capigliatura rossa legate al Dio Seth da un vincolo speciale e sebbene tra queste figurassero anche dei faraoni, non di rado bruciavano - o seppellivano vivi - gli individui fulvi (specie le donne), in quanto consideravano il colore rosso foriero di grandi sfortune.

Con il passare del tempo, fortunatamente, le cose sono molto cambiate e oggi le persone con i capelli rossi non sono più oggetto di persecuzioni e maltrattamenti; persistono, tuttavia, i luoghi comuni e le credenze popolari.

Ne sono degli esempi l’associazione alla chioma fulva delle qualità negative della collera, dell’inaffidabilità e dell’eccesiva passionalità e l’uso del termine ginger in senso dispregiativo.

E’ ancora presente, inoltre, qualche sottile forma di discriminazione: ha suscitato scalpore la decisione assunta qualche anno fa dalla banca del seme più grande del mondo di non accettare più l’iscrizione dei donatori dalle chiome fulve in ragione della presunta scarsa domanda di donatori dai capelli rossi da parte delle donne, successivamente rettificata.

Non solo omosessuali, transessuali, stranieri e disabili nel mirino, dunque, ma anche i soggetti con i capelli rossi naturali (il discorso non sembra valere per le chiome rosse artificiali, essendo la colorazione rossa, nelle sue varie tonalità, la più gettonata), “rei” di diversità in questa società che ci vuole sempre più tutti simili e omologati.

In questa società che, come in quella che Verga descriveva nelle sue novelle, dileggia e timorosamente allontana ciò che non conosce e che teme proprio perché non conosce: “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; e aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone”.

Dalila Giglio