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Arte e comunicazione: il caso di Arcumeggia

Nel 1956 Arcumeggia fu trasformata in un borgo dipinto grazie ad artisti come Aligi Sassu, Gianfilippo Usellini, Aldo Carpi, Ernesto Treccani. Ora rischia una passiva dimenticanza

Nel 2011 una mostra dal titolo: “Arcumeggia: ai confini del cielo tra arte e comunicazione”, fu un'occasione per ripercorrere la storia di questo particolare borgo montano. Particolare, in quanto luogo dove molti artisti hanno potuto esprimere il proprio talento.

Attraverso l'esposizione di opere d'arte e di documenti inediti, la mostra testimoniò il legame tra arte, strumenti di comunicazione, media e territorio; una combinazione che permise ad Arcumeggia (grazie ad artisti come Aligi Sassu, Gianfilippo Usellini, Aldo Carpi, Ernesto Treccani e altri importanti autori) di diventare il primo borgo affrescato d'Italia.

Presenti alla mostra, vi erano anche copie di documenti inediti a firma degli artisti, come lettere autografe, comunicazioni, articoli giornalistici, manifesti, contributi critici e fotografie d’epoca inedite.

Il percorso espositivo spiegò visivamente il progetto culturale messo in atto, evidenziandone i fattori che permisero di trasformare la piccola e anonima frazione di Casalzuigno, in uno strumento di comunicazione.

Cosa avvenne?

Nel 1956 Arcumeggia fu trasformata in un borgo dipinto. Un fervore artistico condiviso mise il piccolo paesino della Valcuvia al centro dell’attenzione e da tutta Italia molti giornalisti, critici e ovviamente turisti, riportarono alla cronaca un abitato di poche centinaia di abitanti, fino a quel momento sconosciuto al mondo.

Il pensiero dell'uomo assunse forme, colori e segni, in grado di arrivare ad un ampio pubblico: una narrazione scenografica che esulava dai canali tradizionali divulgativi, si basò solo su se stessa, provocando delle sensazioni e degli stimoli, che diedero vita ad un legame forte con il fruitore.

Questa rappresentazione collettiva s’incontrò con la vita vissuta, grazie al richiamo e all'attenzione che investì le proprie architetture, le tradizioni e la propria storia.

Dunque un laboratorio artistico, sociale e culturale e un cantiere dell'arte in divenire, a cielo aperto, che accompagnò i visitatori a vivere un territorio nuovo, lontano dai tradizionali percorsi turistici.

I media ebbero un ruolo fondamentale nella crescita e nella divulgazione dell'iniziativa di questo piccolo patrimonio, anche se, il motore di tutto furono la lungimiranza e la perspicacia di artisti e cittadini che nel lontano cinquantasei diedero vita a questa galleria all'aperto.

Questa scelta culturale originale, fu lo strumento per impreziosire un centro storico e presentare l’arte senza filtri, grazie al proprio inserimento nella città, in piazze e vie; un’arte a chilometro zero, in cui le vicende artistiche, culturali ed umane crearono una nuova realtà visiva, caratterizzata dai pensieri, dalle premure e dal lavoro di artisti che a quei tempi non disponevano degli stessi mezzi espressivi e divulgativi che conosciamo oggi, ma riuscirono ugualmente a dimostrare come ai pensieri potesse corrispondere una reale azione, in grado di coinvolgere e valorizzare la società.

Oggi, la loro opera, rischia che il trascorrere del tempo la faccia cadere in una passiva dimenticanza.

Anche se negli ultimi anni i mezzi di comunicazione hanno abbattuto ogni distanza fisica, la facilità con cui si può accedere all'arte e in generale alle immagini, ha reso sempre più complesso assegnare il giusto valore alle cose.

La conservazione di ogni patrimonio e la sua valorizzazione hanno sempre più bisogno di nuovi progetti, di nuove idee e soprattutto di un sostegno mediatico-relazionale, che siano in grado di contrastare la valanga di messaggi visivi che ci vengono proposti ogni giorno.

Il caso specifico di Arcumeggia, andrebbe investito della competenza di modello, in quanto, in grado di dimostrare come la tensione naturale di un artista nella ricerca di un colloquio con la realtà, sia stata in grado di realizzare uno strumento comunicativo per eccellenza, efficace e immediato.

Questo evento ha dimostrato, e tutt'ora è in grado di mostrarlo, quale serbatoio culturale conservi la nostra Penisola e come sia in grado di attraversare tutti gli strati sociali della società, utilizzando linguaggi sempre diversi che riescono ad arricchire di volta in volta la nostra esperienza.

Annalisa Bertani